Motivare per motivare
“Motivare” è un verbo affascinante perché contiene al suo interno un meccanismo logico che lega i due significati che possiede. Motivare, infatti, vuol dire spiegare il motivo, la ragione di qualcosa. Ma vuol dire anche stimolare, spingere a fare qualcosa.
Ecco, il secondo significato è conseguenza del primo: se spiego il motivo per cui studiamo qualcosa – giusto per rientrare in ambito didattico – riesco a creare lo stimolo e l’interesse verso quella cosa. In caso contrario rischio di ottenere uno studio passivo, fatto senza partecipazione e consapevolezza.
Spesso ci scandalizziamo davanti alla domanda degli studenti “a cosa serve la storia dell’arte, la filosofia, il latino?”. La consideriamo un’insopportabile provocazione tipica di studenti sfaticati e incapaci di cogliere la bellezza intrinseca di queste materie.
Invece dovremmo sempre motivare ciò che proponiamo ai ragazzi: le nostre discipline, lo svolgimento di un esercizio, persino le indicazioni e i divieti di circolari e regolamenti. Perché quando conosciamo il motivo per cui ci viene proposta un’attività, il suo senso, l’obiettivo che si vuole raggiungere, allora ci sentiamo parte di un progetto più grande.
Non è un mezzuccio per convincere gli studenti ad impegnarsi né occorre dare una parvenza utilitaristica a tutto il sapere. Lo scopo dello studio, d’altra parte, non è (solo) trovare un lavoro, ma anche crescere culturalmente, diventare cittadini migliori capaci di osservare con spirito critico la realtà che ci circonda. Non è un motivo sufficiente già questo?
Le cose fatte perché-sì non piacciono a nessuno, non a noi adulti, figurarsi ad un adolescente! Meritiamo tutti una spiegazione valida di ciò che dobbiamo fare: noi docenti, quando veniamo obbligati a fare cose delle quali non viene mai precisato lo scopo ultimo (a me succede con la richiesta di predisporre le cosiddette ‘prove comuni’, delle quali non sono mai riuscita a cogliere la vera utilità); ma anche gli studenti, nelle loro attività scolastiche e, nello specifico, nel disegno e nello studio della storia dell’arte.
Ad esempio, mentre i miei studenti si spazientiscono perché non riescono a posizionare le squadrette per fare due linee parallele, spiego loro il motivo per cui quella pratica non è un puro esercizio di sadismo che a loro non servirà mai più nella vita. Con quell’attività potranno cogliere il concetto geometrico di parallelismo come traslazione di una retta, alleneranno il coordinamento occhio/mano/cervello, impareranno ad apprezzare la cura del dettaglio e scopriranno il gesto primordiale del tracciare una linea (acc! tutte queste cose con una matita e due squadrette?).
Conoscere il senso e il motivo del tracciare rette parallele su un foglio porta i ragazzi a porsi con uno spirito positivo verso quella strana pratica. Sono motivati perché ho motivato l’attività. Imparano a conoscere la strada che stanno percorrendo.
In caso contrario ci si ritrova come Charlie Chaplin in Tempi moderni: bravi avvitatori di bulloni, ma ignari di ciò che uscirà alla fine della catena di montaggio: un’automobile? Una sedia? Un frullatore?
Spiegare agli studenti le ragioni di ogni cosa che passa sulla loro testa vuol dire avere rispetto della loro intelligenza, renderli partecipi di un percorso di ampio respiro, dare un senso ai compiti e allo studio che non sia solo l’hic et nunc del voto sul registro, ma la meta di un lungo viaggio che dovranno imparare a fare da soli.
Per noi docenti dover dare motivi (e motivazione) è un buon esercizio di consapevolezza perché ogni tanto, presi dalla fretta o dall’entusiasmo, tendiamo a confondere il mezzo (finire il programma, usare il digitale) con il fine.
Dover spiegare lo scopo ai nostri studenti può ridare fiato ed energia al nostro lavoro e farci volare un po’ più in alto della quota dove nidificano i registri, le griglie e le programmazioni.
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Le immagini di questo articolo sono le teste artistico-anatomiche di Edwige Massart e Xavier Wynn
Che Persona fantastica sei, che Insegnante sulime!
Quando mio figlio ha iniziato a frequentare la prima elementare (più di vent’anni fa) ho fatto di tutto per motivarlo allo studio e al piacere della conoscenza ma ho fallito miseramente nonostante la sua grande intelligenza e la memoria formidabile!
Purtroppo ha avuto insegnanti che, al contrario, lo hanno demotivato e devo ringraziare il cielo che abbia comunque conseguito un diploma che gli permette oggi di lavorare e guadagnare più di me…
Dopo aver letto questo post mi è venuta una gran voglia di stamparlo e di affiggerlo in aula docenti, chissà che non sia d’ispirazione a qualche nuova leva dal MIUR!
grazie di esistere
Grazie a te Giovanna. Quel post veniva proprio dalla mia esperienza, docente obbligata dal dirigente ad intraprendere iniziative senza senso, fatte solo perché si devono fare, dunque senza ricevere una motivazione valida (anche perché spesso non esisteva). E ho pensato che quel senso di frustrazione che vivevo nell’essere costretta a fare cose di cui non capivo il senso, fosse la stessa che provano i ragazzi davanti allo studio.
Grazie, le sue lezioni sono per me preziose
😀
Condivido pienamente!
😀
Ciao Emanuela. Motivare allo studio e alla consapevolezza della sua utilità è una sfida quotidiana. Ma noi perseveriamo. Mentre leggevo questo tuo contributo ho pensato a quante volte ho detto a mio figlio (terzo anno di Istituto per geometri) l’importanza di imparare bene ad usare le squadrette per disegnare linee parallele e non solo, anche se poi userà il CAD….e mi guardo bene di dirgli che esiste anche il tratteggigrafo…..
Grazie. A presto.
Grazie a te, come sempre!
bene, questi concetti nel mondo del virtuale sembrano arcaici, ma sono la base di una vita interiore sana.
Per nulla arcaici: nella scuola si usa dare ordini a suon di circolari e regolamenti a studenti e professori. Non è così che si ottiene un clima collaborativo 🙂
Fortunati quegli studenti educati a usare il cervello da una bravissima insegnante.
Grazie Ermanno.
Grazie – lezione assimilata
😀
Grazie Emanuela, sei una fonte ispiratrice continua.
Grazie a te 🙂