Come funzionano le immagini?
Stavo studiando gli atti del Concilio di Trento (studio cose strane, lo so…) e ho trovato delle considerazioni interessanti sulla natura delle immagini che ho voluto appuntarmi.
Nella Sessione XXV del 3 e 4 dicembre 1563 viene stabilito che “… ad esse [le immagini sacre] si deve attribuire il dovuto onore e la venerazione: non certo perché si crede che vi sia in esse una qualche divinità o virtù, per cui debbano essere venerate; o perché si debba chiedere ad esse qualche cosa, o riporre fiducia nelle immagini, come un tempo facevano i pagani, che riponevano la loro speranza negli idoli, ma perché l’onore loro attribuito si riferisce ai prototipi, che esse rappresentano. Attraverso le immagini, dunque, che noi baciamo e dinanzi alle quali ci scopriamo e ci prostriamo, noi adoriamo Cristo e veneriamo i santi, di cui esse mostrano la somiglianza“.
Ovvio, no? Beh, non troppo. Stabilire per decreto che le immagini non coincidono con ciò che rappresentano ma rimandano, simboleggiano, somigliano ad altro è una decisione forte e gravida di conseguenze.
Ma non è una novità. Già nel 787 il secondo concilio di Nicea aveva dichiarato che “L’onore reso all’immagine, in realtà, appartiene a colui che vi è rappresentato e chi venera l’immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto“.
Ma resta una decisione piuttosto concettuale perché da sempre l’uomo è incline a sovrapporre la realtà e la sua immagine, anche al di là dell’ambito religioso, e a instaurare con le immagini un rapporto di scambio reciproco.
Ma quanti tipi di relazione possono esistere tra immagine e realtà? Fondamentalmente direi che si possono riassumere in tre categorie.
Vediamole separatamente (ma scopriremo che ogni immagine è in genere contemporaneamente di più tipi).
L’immagine coincidente con la realtà. Per l’uomo preistorico il bisonte dipinto sulla parete di una grotta è un bisonte vero. Colpirlo con le frecce equivale alla sua reale cattura. Chi è capace di raffigurare gli animali non è un artista ma uno sciamano, qualcuno in grado di evocare le cose con forme dipinte.
Può sembrare una cosa da primitivi… chi confonderebbe oggi la rappresentazione, l’immagine, con la realtà? In teoria dopo secoli, anzi millenni, di vita tra le immagini, dovremmo essere tutti passati alla seconda categoria: comprendere che queste sono imitazioni della realtà e che devono essere interpretate dal punto di vista artistico, storico, sociale e soprattutto simbolico.
Chi si aspetterebbe di trovare da qualche parte la scena della Primavera di Botticelli? È abbastanza ovvio comprendere che si tratti di un’allegoria, un’immagine che rimanda a significati filosofici e morali.
E invece poi accade che pubblico su Facebook l’Agnus Dei (1640) di Francisco de Zurbarán il giorno prima di Pasqua e piovono commenti del tipo: “Ma vi sembra giusto che quell’agnello sta per essere condotto al macello?”, “Gli animali non si toccano!”, “Fermate questa strage!”.
Commenti del genere denotano una serie di problemi nell’interpretazione delle immagini che vale la pena esplorare approfonditamente.
Primo. Il titolo “Agnus Dei” ci dice che quello non è un animale qualsiasi ma è Cristo stesso nella forma con cui lo presenta Giovanni: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie i peccati del mondo” (frase che i cattolici ripetono ben tre volte durante la messa). Dunque l’animale legato allude al sacrificio di Cristo in croce non alla macellazione massiva di agnelli nel periodo di Pasqua…
Eppure suscita più pietà di un crocifisso come quello, intensissimo, di Francisco Goya (1780).
Secondo. Anche a voler leggere l’immagine letteralmente andrebbe quanto meno storicizzata: nel Seicento la possibilità di cibarsi di carne era un evento rarissimo e un privilegio verso cui provare il massimo rispetto e gratitudine. Nulla a che vedere con l’eccesso di consumo di carne dei nostri tempi.
Naturalmente c’erano già le macellerie. Luoghi dove si vendeva una merce tanto preziosa da meritare di essere immortalata in pittura.
Terzo, anche a voler ignorare la metafora insita nel titolo e l’epoca in cui è stato dipinto è, appunto, un dipinto. Non è la foto di un ovile reale. Quell’agnello di Zurbaran non è mai esistito e non è stato mai mangiato. Non sta andando al macello e non ha senso provare indignazione.
Scambiare un dipinto barocco per il bersaglio delle rivendicazioni animaliste significa fare un grave torto all’arte e alla storia. Un po’ come censurare la fiaba di Cappuccetto Rosso, scritta trecento anni fa, perché il lupo fa una brutta fine (ma c’è ultimamente un certo revisionismo anche su questo fronte!).
Naturalmente è legittimo provare delle emozioni, anche slegate dalle intenzioni dell’autore. È naturale interrogarsi sul senso del dolore e del sacrificio nelle religioni e nella nostra vita. Su come l’autore riesca a commuoverci con un’immagine così essenziale.
Sarebbe estremamente limitativo valutare le immagini come puri e freddi documenti visivi. Il bello dell’arte sta nella possibilità di giudicarla (ma con cognizione di causa), di coglierne sfumature sempre nuove e apprezzarne il senso universale.
Dirò di più: l’arte senza osservatore non esisterebbe affatto. Un po’ come ci spiega la fisica contemporanea: l’osservatore condiziona il fenomeno, in certi casi la sua presenza lo crea.
Le immagini quindi agiscono su di noi e noi agiamo sulle immagini. Scrive Anaïs Nin a questo proposito: “non vediamo le cose come sono, vediamo le cose come siamo“.
La prova più concreta di questo effetto di scambio emotivo tra noi e le immagini ce lo dà un episodio relativo alla flashbulb memory, cioè quella memoria attivata da un’emozione molto intensa (anche prodotta da un’immagine). Tutti, ma proprio tutti noi adulti, ricordiamo esattamente cosa stavamo facendo l’11 settembre del 2001, quando venivano abbattute le torri gemelle.
Dunque il secondo tipo di relazione tra osservatore e opera (considerata come rimando alla realtà) è una modalità che richiede un grande sforzo di distacco interpretativo e una solida cultura visiva. Perché istintivamente siamo ancora quei primitivi che confondevano le immagini con le cose reali.
Chi di noi non ha strappato la foto di un ex fidanzato per liberarsene definitivamente? Chi di noi, al contrario, non tiene la foto di una persona cara sopra un tavolino e magari, guardandola, non le sorride?
In base alla seconda teoria sulla natura delle immagini la cosa ci dovrebbe imbarazzare: ma sono scema a sorridere a un pezzo di carta spalmato di pigmenti disposti a forma di volto? O allo stesso volto creato dai pixel su un display, giusto per essere contemporanei?
Ma è difficile (e forse anche ingiusto…) mantenere il rigore di Picasso quando un uomo lo accusò di fare un’arte poco realistica. Pare che al malcapitato abbia detto “Mi può mostrare dell’arte realistica?” e quello abbia esibito la foto della moglie. Al che Picasso: “Quindi sua moglie è alta 5 centimetri, bidimensionale, senza braccia né gambe e senza colori tranne sfumature di grigio?”.
Questo bagno di razionalità ci traghetta nel terzo tipo di immagini: quelle che sono altro-dalla-realtà. Naturalmente – è ovvio – qualsiasi immagine lo è per il semplice fatto di essere bidimensionale, in scala e immobile, ma abbiamo capito che non consideriamo questi aspetti degli ostacoli nel trattare come reali le immagini.
È stato Magritte con la sua pipa a spiegarci in modo definitivo che quello che vediamo nei dipinti non è reale, per quanto realistico, ma appartiene a una realtà che potremmo definire parallela, una sur-realtà dove tutto è possibile.
Non accade forse nei cartoni animati di Wile coyote che il poveretto precipiti solo nel momento in cui si rende conto di essere nel vuoto? Ma in questo caso non ci appelliamo alla verosimiglianza, siamo disposti ad accettare l’assurdo e ridiamo dei suoi tonfi al suolo. Nessuno (spero) protesterebbe contro la violenza sui coyote.
I cartoni animati, d’altra parte, sono un vero trionfo del Surrealismo! Lo sapevano bene Disney e Dalì…
Il funzionamento delle immagini, dunque è un meccanismo complesso. Dentro ci finiamo noi con la nostra storia, i nostri istinti, la nostra cultura, le nostre esperienze. Le immagini non sono mai univoche e definitive. Ma questo non significa che possano essere recepite senza alcuna consapevolezza, consumate e maltrattate.
Dove voglio andare a parare con queste riflessioni?
Nella constatazione di quanto sia urgente e necessario rilanciare lo studio della storia dell’arte e del linguaggio visivo in ogni ordine scolastico (ma farebbe tanto bene anche agli adulti). Ancor più adesso che la comunicazione si fa sempre più rapida e visuale.
Non saper interpretare un’immagine porta a coglierne solo l’aspetto più superficiale e immediato perdendone il vero significato e gli eventuali intenti comunicativi di chi l’ha prodotta. Se va bene ci perdiamo la sostanza profonda dell’arte. Se va male diventiamo marionette tra le mani di chi vuole incanalare le nostre reazioni e le nostre scelte.
Grazie molto interessante
grazie seguo tanto questo sito e trovo degli spunti ottimi ….bel lavoro sulle immagini
Grazie a te, Lina.
Ed eccola qui un’adulta, molto adulta 😉 che come tu auspichi, sente il bisogno di continuare ad imparare a guardare e che ti segue con piacere sempre.
Grazie Vera!
A corollario, carissima Manu, mi sono andato a cercare l’etimologia di “immagine” e ho trovato questa definizione d’autore, targata Daverio, su Dizionaripiù di Zanichelli (ma guarda un po’!):
https://dizionaripiu.zanichelli.it/cultura-e-attualita/definizionidautore/immagine/
Pur comprendendo la declinazione non banale sui media, con cui si confronta da tempo l’arte contemporanea, la parte che ho fatto mia è il riferimento al mito della caverna di Platone.
Essendo noi ombre, ovvero simulacri di una realtà ideale, l’immagine sarebbe “riproduzione di riproduzione”. Forse aiuta a capire il gesto del samurai Fontana che con un taglio netto tenta di accedere a ciò che c’è “oltre” o di svelarlo, ammesso che ci sia.
A presto
Gianfranco
❤️
…La Condizione Umana…
«Misi di fronte a una finestra, vista dall’interno d’una stanza, un quadro che rappresentava esattamente la parte di paesaggio nascosta alla vista del quadro. Quindi l’albero rappresentato nel quadro nascondeva alla vista l’albero vero dietro di esso, fuori della stanza. Esso esisteva per lo spettatore, per così dire, simultaneamente nella sua mente, come dentro la stanza nel quadro, e fuori nel paesaggio reale. Ed è così che vediamo il mondo: lo vediamo come al di fuori di noi anche se è solo d’una rappresentazione mentale di esso che facciamo esperienza dentro di noi»
Rene Magritte
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/1/1f/René_Magritte_The_Human_Condition.jpg
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/5/59/The_Human_Condition_1935.jpg
Grazie, fantastica citazione! Ne farò tesoro.
Ottimo Manu, da rileggere a ruota il tuo https://www.didatticarte.it/Blog/?p=8467 il cui incipit è “L’arte senza osservatore non esiste” e anche le tue… “riflessioni” legate agli specchi: https://www.didatticarte.it/Blog/?p=6519. Li adoro.
Gianfranco
Ti ringrazio! Bentornato Gianfranco 😀
Come sempre un articolo ben fatto e utile per comprendere le immagini e ciò che sta dietro a queste!
Ti ringrazio!
Una trattazione perfetta e decisamente interessante sulle immagini e su come interpretarle
Grazie!
Grazie prof!!!! Un caro saluto. Elisa
Grazie Elisa. Un abbraccio!
Ciao Emanuela,
è vero….lo penso da sempre che bisognerebbe educare la società all’interpretazione delle immagini attraverso lo studio della storia dell’arte , oggi più che mai imperanti! Spesso gli adulti, ovvero i genitori dei miei alunni di scuola media, mi ringraziano per l’occasione che colgono sfogliando e leggendo (ma anche studiando!) il testo di storia dell’arte dei loro figli, perchè non hanno mai avuto occasione nel loro percorso scolastico di farlo! E quanto fatico nelle mie due ore per classe per rendere meno superficiali e più consapevoli i miei alunni….
Felice di averti conosciuta e stimolata dai tuoi articoli, ti saluto e ti ringrazio.
Rosangela Avvenuti
Grazie per questa testimonianza, Rosangela. E buon lavoro!
Bellissime riflessioni. Molto interessante.
Grazie!
🙂
Grazie . Interessantissimo
🙂
Riflessione utile e interessante, grazie del tuo contributo.
Ti chiedo il permesso di usarlo con i miei alunni.
Grazie Stefano, certo che puoi usarlo! Li pubblico apposta 🙂
Utilissimo percorso. Grazie sempre degli stimoli intelligenti che offri.
Grazie a te, Emanuela!
Ciao Emanuela. Hai espresso una grande verità evidenziando il fatto che ignorare il significato di un’immagine porta poi a un’interpretazione sbagliata. Sono assolutamente d’accordo con te sul fatto che la Storia dell’Arte andrebbe insegnata in ogni ordine di scuola perché oltre all’aspetto culturale conoscere l’arte (capirla, osservarla o semplicemente guardarla), ci regala emozioni uniche e oggigiorno abbiamo tanto bisogno di emozionarci veramente (non solo virtualmente)….bisognerebbe rivolgere questo appello al MIUR…ci stai pensando?
Io ci sono.
Tanti auguri di Buona Pasqua, grazie per i preziosi spunti di riflessione che ci regali.
A presto. Luisa
Grazie a te, Luisa.
Per l’appello non saprei, ma mi conforta sapere che attraverso gli strumenti digitali la conoscenza può arrivare a molte più persone di quelle che stanno nelle aule.
Ci penserò su 🙂
Sempre qualche punto di vista nuovo e coinvolgente che stimola emozioni. Grazie Emanuela
😀
Bellissimo articolo e riflessioni molto interessanti… Grazie!
🙂
Eccezionale riflessione… come sempre spalanchi le porte della didattica! Porterò in classe la tua riflessione quando sarà il momento di spiegare ai ragazzi il surrealismo! Grazie
Ti ringrazio Maria
Come sempre hai colto nel segno (tanto per restare nel campo dell’immagine…). Grazie, ottimo spunto di riflessione, davvero necessario.
Grazie a te, Rossella!