Danae e la pioggia d’oro nell’arte
Stavo studiando la Danae di Correggio e, per capirla meglio, ho pensato di fare dei confronti. Allora ho cercato altre Danae nell’arte ma mi sono accorta che sono poche, pochissime se paragonate a tanti altri temi iconografici.
Naturalmente, trattandosi di un mito greco (raccontato dal solito Ovidio nel IV libro delle Metamorfosi), le prime raffigurazioni appartengono all’ambito della pittura vascolare, in particolare quella a figure rosse di età classica (V sec. a.C.).
La composizione è già quella canonica: la giovane è sdraiata, pronta ad accoppiarsi con Zeus che scende su di lei sotto forma di pioggia d’oro (ma quante se ne inventava il capo degli dei per ingravidare le donne dell’antica Grecia?).
D’altra parte Danae, figlia di Acrisio, re di Argo, era stata rinchiusa dal padre in una torre proprio perché non generasse: l’oracolo aveva predetto al re che sarebbe stato ucciso dal figlio di Danae.
Ma al volere divino non si scappa. Dall’unione di Zeus e Danae nascerà Perseo, l’eroe che sconfigge Medusa ma che accidentalmente provocherà anche la morte di Acrisio.
Nell’arte romana di I e II sec. d.C. Danae appare nei mosaici e nei dipinti murali dedicati agli amori di Giove. La osserviamo seduta con Giove o anche in piedi mentre Cupido le versa addosso degli spruzzi dorati.
Come era già accaduto ad altri personaggi mitologici (ad esempio Icaro e Medusa) anche Danae scompare dall’arte per tutti i mille anni del Medioevo. Per la precisione: scompare nella sua identità originale per rimanere in forme moraleggianti. Danae diventa di volta in volta la donna che soccombe alla tentazione dell’oro oppure un’allusione alla Vergine che concepisce per intervento divino.
Ricompare senza altri significati simbolici solo nel Rinascimento, assieme a tanti compagni di antichi miti. Nell’affresco di Baldassarre Peruzzi (1510) nella villa Farnesina, Danae è raffigurata sulla destra, dentro un letto a baldacchino e sotto una pioggia d’oro, mentre Zeus, sotto forma anche di toro bianco, rapisce Europa, figlia del re di Tiro, un’altra delle sue prede.
Assolutamente originale è la versione del fiammingo Jan Gossaert (detto Mabuse) del 1527. All’interno di un loggiato classicheggiante ad esedra, la bella Danae riceve in grembo una sottile polvere d’oro che cade dal soffitto mentre sullo sfondo compare un curioso catalogo di architetture gotiche e rinascimentali. Forse c’è ancora un’allusione alla maternità di Maria per quel mantello azzurro che avvolge la figura e per quello sguardo stupito e arrendevole.
I modelli classici tornano pienamente solo con Correggio (eccolo, finalmente). La ragazza è nuda, sdraiata sul letto. Eros la aiuta a raccogliere la pioggia d’oro sollevando il lenzuolo. Due amorini, in basso, controllano la punta d’oro di una freccia. C’è una luce serena, una posa aggraziata. Ma anche una discreta dose di sensualità.
Poco tempo dopo è la volta di Tiziano. Le sue tante versioni di Danae, dipinte tra il 1544 e il 1564, sono tutte molto simili: la principessa è mollemente sdraiata sotto un prezioso tendaggio di velluto mentre riceve la pioggia d’oro dalle nuvole scure che si addensano sopra di lei.
Alcuni dettagli, però, portano a ritenere la scena come un’allusione alla prostituzione. Non è un caso che le gocce somiglino molto a delle monete e che in molti casi sia presente una donna anziana, una mezzana che procura i clienti, che cerca di raccoglierle dentro un telo.
Solo nella prima c’è un piccolo Eros alato.
La coincidenza di Danae con una cortigiana è ancora più esplicita nel dipinto di Tintoretto (1570). Qui la donna, per nulla pudica, è già intenta a contare le monete d’oro che le piovono addosso, mentre una giovane ancella la aiuta a raccoglierle.
L’ambientazione comincia a farsi più cupa, alla maniera di Tintoretto, mentre le tende amaranto appaiono morbide e brillanti.
E con questi toni notturni siamo pronti a entrare nel Seicento del Barocco con una Danae fortemente erotica dipinta da Artemisia Gentileschi (1612).
Adesso l’ambiente è completamente buio, così che il corpo della ragazza, sdraiato sopra un velluto scarlatto, appaia come un concentrato voluttuoso di luce.
Anche qui piovono monete d’oro: quelle che non scivolano tra le gambe di Danae sono raccolte dall’ancella nella veste.
Alcuni anni dopo il soggetto è ripreso da Orazio Gentileschi (1623), il padre di Artemisia. Ancora uno sfondo nero, ancora un getto di monete. Ma stavolta Danae, decisamente meno lasciva, è assistita da Cupido che sposta la tenda per lasciar passare la pioggia d’oro.
La postura di Danae, sdraiata sul fianco e con un gomito sul cuscino, sembrerebbe ispirata a una tela di Annibale Carracci del 1605 distrutta da un bombardamento della seconda guerra mondiale.
La stessa tela avrebbe ispirato anche la versione di Rembrandt (1636), dove Danae è immersa in un’atmosfera dorata e preziosa. Qui non c’è più la pioggia d’oro: lo sguardo delle due donne, non rivolto verso l’alto, dà l’idea dell’arrivo di una persona fisica che Danae accoglie con un gesto della mano.
Questo misto di teatralità e dinamismo è evidente un po’ in tutte le Danae del Seicento.
Ma anche quelle del Settecento non scherzano: spettacolari o raffinate, luminose o contrastate, propongono nuovi schemi iconografici o rivisitano quelli vecchi.
Verso la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento Danae diventa definitivamente un’icona di pura sensualità, amata soprattutto dai simbolisti che vedono in lei un concentrato di pulsioni vitali. L’ancella scompare, al massimo resta Cupido.
Tutto è pronto per la Danae più sorprendente, più carnale, più originale mai vista prima. Quella di Gustav Klimt del 1909.
Tutto il dipinto, quadrato e pieno d’oro come il Bacio, è occupato dalla figura ripiegata di Danae, abbandonata al piacere di un fiume dorato che la invade.
La mitologia è solo un pretesto per raccontare tutta la potenza primordiale dell’eros. La pioggia d’oro non è più Zeus ma il principio maschile, sottolineato dal rettangolino nero accanto alla vulva che nel linguaggio geometrico di Klimt indica l’uomo. Le forme tondeggianti impresse sul velo, invece, oltre a richiamare il principio femminile, rimandano anche all’immagine della cellula, l’inizio della vita. Ma è anche una scena di autoerotismo, come è suggerito dalla mano sinistra che si insinua tra le gambe. Puro piacere, che basta a se stesso.
Di altre Danae, nel Novecento, ce ne sarebbero ancora: di Picasso, di Guttuso, di Milo Manara. Ma nessuna ha la forza visiva e simbolica di quella di Klimt. La sua Danae è assolutamente speciale. E non potrebbe essere diversamente per un autore che sosteneva che “tutta l’arte è erotica“.
Molto interessante ed obiettivo!
Grazie! GRAZIE, G R A Z I E !
Prego 🙂
Interessantissimo ormai un appuntamento imperdibile.
Grazie come sempre, Marino!
Bellissimo articolo! Anch’io anni fà ho dipinto Danae (vedi link al sito qui sotto). I miti greci mi hanno sempre afascinata. Perchè non fai un’articolo su Leda ed il cigno?
Grazie
Grazie dell’apprezzamento. Su Leda e il cigno chissà… quando mi capiterà di doverlo approfondire.