Maturità 2019, tra Sciascia e le civette
Anche quest’anno voglio cimentarmi con la prima prova degli esami di Stato, pur non essendo impegnata nelle commissioni.
Lo faccio però con un po’ di amarezza. Primo perché non esiste più l’ambito artistico-letterario che permetteva ai ragazzi di intrecciare il linguaggio visivo e quello verbale, secondo perché mi pare un po’ offensivo verso l’intelligenza degli studenti aggiungere a quasi tutte le tracce le domandine alle quali rispondere, trasformando l’esame in un semplice esercizio di comprensione del testo da arricchire con eventuali considerazioni.
Mi sono decisa a scriverne solo perché una delle tracce è dedicata a Leonardo Sciascia, autore che ho sempre amato e del quale mi sono occupata vent’anni fa nel progetto del Parco Letterario a lui dedicato.
Tra l’altro la traccia riguarda “Il giorno della civetta”, romanzo su cui ho basato un progetto arte/letteratura nel mio primo anno di insegnamento e che è sfociato in questo video fatto con i disegni degli studenti.
Per questo motivo prenderò spunto dal brano di Sciascia per farne una rilettura molto personale e del tutto libera dall’imbeccata ministeriale. Ecco la traccia.
Partiamo dalla civetta. Simbolo di saggezza, attributo di Atena e animale protettore della città di Atene. Non è un caso che il suo nome scientifico sia Athene noctua. Il nome della specie, però, ci ricorda che la civetta è un animale notturno e come tale, assieme al più voluminoso gufo, è stata associata anche alla sfortuna, al male e alla stregoneria. Insomma, si oscilla tra Goya e Sophia.
Ma se la civetta è un rapace notturno perché nel titolo dell’opera è associata al giorno? La spiegazione è tutta dentro la citazione da Shakespeare con cui si apre il romanzo: ” … come la civetta quando il giorno compare”. Quella civetta simboleggia la mafia che dall’oscurità abituale in cui si muove fa la sua comparsa sconvolgente in pieno giorno, subisce una metamorfosi, allarga i suoi interessi su nuovi spazi.
E proprio in pieno giorno avviene il delitto con cui si apre il romanzo: un imprenditore edile, tale Salvatore Colasberna, viene ucciso perché non accetta la protezione della mafia. Il capitano Bellodi viene chiamato da Parma per risolvere il caso. Un delitto del quale vengono svelati subito i responsabili, ma che pagina dopo pagina sembra sempre più indimostrabile. Un “giallo capovolto”, lo ha definito per questo Vincenzo Consolo.
A me, molto più terra terra, è venuto in mente il tenente Colombo. Anche nei suoi film sapevamo subito chi era l’omicida e il piacere consisteva nell’osservare il nostro mettere lentamente in piedi la ricostruzione raccogliendo indizi minimi e ponendo domande scomode mentre lasciava la stanza. La sciatteria della sua figura rendeva ancora più sorprendente la matematica precisione dei suoi ragionamenti.
Ma con il capitano Bellodi non ha molto in comune: nonostante questi riesca a ricostruire tutta la vicenda, alla fine vince la mafia. Vince perché il suo schieramento è molto più ampio dei soli personaggi implicati nell’omicidio: c’è l’omertà dei testimoni e degli stessi parenti della vittima, la complicità dell’alta politica, la fretta superficiale dei giornalisti, la rassegnazione delle forze dell’ordine. Ognuno coi suoi metodi e il suo linguaggio. Ognuno recitando la sua parte. Come in teatro.
Ma è un teatro dell’assurdo, quello che viene messo in scena, e il colloquio tra Bellodi e i familiari di Colasberna ne è la perfetta rappresentazione.
Li possiamo quasi vedere, seduti uno accanto all’altro, dimessi, occhi bassi che si cercano rapidamente tra loro. Tradiscono l’agitazione da gesti minimi, dalle risposte telegrafiche. E cercano di orientare il capitano verso le tesi più innocue: il delitto passionale, lo scambio di persona. Ma anche Bellodi sta recitando. Vuole osservare la reazione dei suoi interlocutori, che possiamo percepire sempre più nervosa. Annuiscono, negano, indossano le facce stralunate di chi non c’entra nulla.
Ma fondamentalmente hanno paura. Ed è umano che ce l’abbiano. È difficile condannare la loro omertà perché vivono in un sistema nel quale, se dovessero parlare, farebbero una brutta fine. Come accade successivamente ad altri personaggi del romanzo.
“Non le ho mai sentite queste cose“, dice alla fine il fratello della vittima in riferimento alla pista mafiosa. Sa di mentire. E Bellodi sa che lui sa. Ma non può farci nulla. D’altra parte che “la mafia non esiste” lo dirà più avanti nel romanzo anche un sottosegretario colluso chiamato a rispondere all’interrogazione parlamentare sugli omicidi.
Tuttavia la mafia qui non viene nominata. Si parla di “gente che dà protezione”, “gente che non dorme”… e qui torna la nostra civetta, che di notte va a caccia, che con il favore delle tenebre cattura le sue prede.
Nel resto del romanzo la parola mafia appare 37 volte, tante se si considera che non c’erano mai state prima altre opere letterarie dedicate esplicitamente alla questione.
Quel termine compare in modo naturale nei discorsi, nei pensieri. Spesso negato, altre volte nominato con convinzione. Ma sempre con la naturalezza e l’esattezza dello stile di Sciascia.
Bellodi, alla fine del romanzo, apprende lontano dalla Sicilia che la sua indagine è stata demolita. Ma sa di amare questa terra, sa che tornerà. “Mi ci romperò la testa” dice a voce alta.
È l’unica nota di speranza di tutto il libro. Ma è quella che ci spinge a tifare per lui. E per noi.
Un’analisi perfetta, mirata e interessante. Sciascia come sempre un grande della nostra letteratura
Grazie
Grazie Daniela,
testo, immagini e video in un racconto personale che si fa universale. Questo amano i ragazzi oggi. Un forte abbraccio.
Grazie a te. Ti abbraccio!
Una trattazione da vera fuoriclasse! Un vero talento artistico, letterario e umano. Grazie
Grazie, sei sempre un tesoro!
Ancora una volta uno splendido documentato interessante scritto. Non ci sono parole per ringraziarti per il continuo arricchimento che doni ai tuoi lettori.
Ti ringrazio tanto, carissimo!
Ciao Emanuela. Da questa tua analisi emerge quanto tu sia innamorata (mi permetti questa espressione vero?) della tua Sicilia. Due tracce sulla Mafia. È importante non abbassare mai l’attenzione. È una tematica molto sentita dagli studenti anche qui da noi in Veneto.
A presto.
Ciao Luisa e grazie. Sì, sono innamorata di questa terra e soffro maledettamente quando la vedo maltrattata dai suoi stessi abitanti! Bisogna continuare a lottare.