Pittogrammi, che passione!
Avete presente l’omino e la donnina sulle porte dei bagni? Ecco quelli non sono altro che pittogrammi, immagini estremamente stilizzate che rappresentano per analogia visiva degli oggetti o dei concetti molto semplici.
Si tratta di una delle forme più antiche di comunicazione scritta, a metà strada tra la rappresentazione figurativa e la scrittura vera e propria, basata sull’alfabeto.
Eppure la pittografia non è mai stata abbandonata, anzi, negli ultimi anni è tornata prepotentemente alla ribalta grazie all’enorme richiesta di “icone” per il mondo del digitale.
Con i pittogrammi si può anche provare a creare narrazioni “complesse” riassumendole in pochi simboli. È il caso di Shortology, un esperimento creativo di cui ho già parlato nel post sul Visual Thinking, che potete ammirare qui sotto. Geniale, no?
Qualcosa di simile è stato fatto anche da Viktor Hertz con le sue locandine dei film più celebri in chiave pittografica.
Sempre di Viktor Hertz sono i poster che riassumono in pittogrammi i titoli delle canzoni dei gruppi musicali più celebri. Osservate bene questo dei Beatles e cercate di scoprire tutti i titoli graficizzati. Non ci riuscite? Ecco la soluzione…
Un altro interessante campo d’applicazione dei pittogrammi è quello dei giochi olimpici: ad ogni edizione se ne sforna una nuova serie con i simboli di tutti gli sport e dei servizi annessi, con piccole varianti stilistiche su una base universalmente codificata. Qui sotto potete vedere i pittogrammi per le Olimpiadi di Los Angeles del 1984, di Barcellona del 1992 e di Londra del 2012.
E questi sono quelli disegnati per Rio 2016.
Può essere un utile e divertente esercizio il disegno di pittogrammi per un’app o per indicare gli ambienti di una scuola, di un teatro, di un centro commerciale.
Come si comincia?
Innanzitutto ci si documenta su ciò che è stato già realizzato in precedenza. È un’operazione fondamentale perchè consente di avere una base di partenza e di non arrivare ad un risultato che altri hanno già raggiunto prima di noi. Dunque, un’occhiata ai pittogrammi dello Standard Internazionale è d’obbligo…
Se ad esempio volessimo ideare il pittogramma che indichi l’attività di studio occorre capire quante varianti si possono avere e stabilire quale renda meglio l’idea che vogliamo comunicare. Troveremo lo studente con libro e tavolo di profilo, di tre quarti, di fronte, solo con il libro, o anche il solo libro o la testa con le rotelline, nonchè qualche versione non troppo stilizzata e arricchita con colori. Basta solo studente e libro o serve il tavolo per far capire che studia?
Una volta stabilita quale sarà l’immagine più efficace, si iniziano a fare degli schizzi per semplificare l’immagine scelta: questa infatti deve potere essere riconoscibile anche ad uno sguardo rapido, anche da lontano, anche da parte di chi appartiene a culture differenti. Insomma deve essere inequivocabile.
Occorre trovare il punto limite di stilizzazione oltre il quale si perde la riconoscibilità dell’immagine. Giovanni Belgrano e Bruno Munari hanno ideato un gioco per mostrare proprio i passaggi dall’immagine fotografica al simbolo, il percorso che porta da “una mano” a “la mano“.
Come ultima fase occorre controllare attentamente la costruzione geometrica del pittogramma utilizzando moduli e griglie opportunamente studiati, soprattutto se si prevede di disegnare un’intera famiglia di simboli.
Il pittogramma non dovrebbe avere più di un colore ed essere utilizzabile sia in negativo che in positivo. È lo stesso processo di disegno di un marchio con la differenza che i pittogrammi non sono legati ad un brand e non devono comunicare messaggi “propagandistici”.
Perché non provare, allora, ad utilizzare lo stile dei pittogrammi per simbolizzare la poetica dei pittori? È quello che ha fatto Giorgia Lupi con il suo Visualizing pinters’ lives.
Il lavoro di Outmane Amahou è ancora più minimalista, con pittogrammi semplici e di immediata riconoscibilità.
Pittogrammi sull’arte che diventano arte essi stessi!
grazie
Qualcuno si sarà chiesto perché utilizziamo ancora pittogrammi che raffigurano oggetti “in via d’estinzione” e ormai sconosciuti ai nativi digitali, come cornette del telefono o telefono a disco per le telefonate, una macchina reflex per le foto, tv con l’antennina sopra per i video, block notes per gli appunti, ciak cinematografici per i video ecc. si potrebbe pensare che sia soltanto per pigrizia dei grafici… invece la ragione è molto più semplice. Oggi per fare tutte queste cose si usa un solo strumento: lo smartphone, ma se usassimo soltanto il pittogramma di uno smartphone per simboleggiare le telefonate, i video, le foto, gli appunti ecc. nessuno ci capirebbe niente!
🙂
Credo che i primi pittogrammi veramente nuovi e stilizzati delle discipline olimpiche siano stati quelli delle olimpiadi di Monaco progettati da Otl Aicher, dopodichè nessuno ha fatto qualcosa di meglio visto che furono usati nuovamente alle Olimpiadi di Montreal, quattro anni dopo e i successivi restano sempre ispirati e tributari a quelli; Io credo che Aicher avesse in mente le stilizzazioni della danza di Wassily Kandinsky nel suo carnet di appunti, “Tanzkurven: Zu den Tänzen der Palucca,” Das Kunstblatt, Potsdam, vol. 10, no. 3 (1926)…
Qui una breve rassegna dei pittogrammi olimpici:
http://www.tapook.com/it/2012/07/olympic-pictograms/
Grazie per questo approfondimento, Marino.
Concordo con I commenti di Elisa e Francesca qui sopra. Ho scoperto questo blog da pochi giorni ma lo trovo grandioso! Grazie per diffondere la cultura in modo così chiaro e condividere con gli altri la tua illuminante lettura dell’arte.
Ti ringrazio Lorella e benvenuta!
Questo blog è STUPENDO!!!!!!
Grazie!!!!! 😀
Sempre di notevole interesse i tuoi post, GRAZIE!
Elisa
E tu sei sempre carinissima, Elisa! 😉