Tomasi di Lampedusa e le sirene nell’arte
Qualche sera fa ho visto un film della serie Pirati dei Caraibi. Non è esattamente il mio genere preferito ma c’era quel bel figliolo di Johnny Depp e così sono sprofondata sul divano affascinata dal suo personaggio. Solo che, quando guardo un film, ho il brutto vizio di perdermi nei miei pensieri e alla fine, davanti alle immagini delle sirene che circondavano la scialuppa, mi è tornato in mente un ricordo lontanissimo e ho iniziato a inseguirlo perdendomi il resto della storia…
Facevo il liceo. Spolpavo racconti e romanzi uno dopo l’altro. Alcuni hanno lasciato solo un titolo nella memoria, altri sensazioni che si attaccano alle viscere. A questa seconda specie appartiene Lighea. Una storia possibile e impossibile, fatta di seduzione, di nostalgia, di pelle e di acqua salata.
Il titolo vero è La sirena ed è un racconto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (quello del Gattopardo), scritto nell’inverno del ’57, pochi mesi prima della morte.
Nel racconto l’anziano grecista Rosario La Ciura, in un lungo flashback, racconta al giovane Paolo Corbera di quella prodigiosa mattina del 5 agosto 1887, quando accanto alla sua barchetta apparve una sirena.
“Declamavo, quando sentii un brusco abbassamento del bordo della barca, a destra, dietro di me, come se qualcheduno vi si fosse aggrappato per salire. Mi voltai e la vidi: il volto liscio di una sedicenne emergeva dal mare, due piccole mani stringevano il fasciame. Quell’adolescente sorrideva, una leggera piega scostava le labbra pallide e lasciava intravedere dentini aguzzi e bianchi, come quelli dei cani. Non era però uno di quei sorrisi come se ne vedono fra voialtri, sempre imbastarditi da un’espressione accessoria, di benevolenza o d’ironia, di pietà, crudeltà o quel che sia; esso esprimeva soltanto se stesso, cioè una quasi bestiale gioia di esistere, una quasi divina letizia. Questo sorriso fu il primo dei sortilegi che agisse su di me rivelandomi paradisi di dimenticate serenità. Dai disordinati capelli color di sole l’acqua del mare colava sugli occhi verdi apertissimi, sui lineamenti d’infantile purezza“.
“La nostra ombrosa ragione, per quanto predisposta, s’inalbera dinanzi al prodigio e quando ne avverte uno cerca di appoggiarsi al ricordo di fenomeni banali; come chiunque altro volli credere di aver incontrato una bagnante e, muovendomi con precauzione, mi portai all’altezza di lei, mi curvai, le tesi le mani per farla salire. Ma essa con stupefacente vigoria emerse diritta dall’acqua sino alla cintola, mi cinse il collo con le braccia, mi avvolse in un profumo mai sentito, si lasciò scivolare nella barca: sotto l’inguine, sotto i glutei il suo corpo era quello di un pesce, rivestito di minutissime squame madreperlacee e azzurre, e terminava in una coda biforcuta che lenta batteva il fondo della barca. Era una sirena“
“Ti sentivo parlare da solo in una lingua simile alla mia; mi piaci, prendimi. Sono Lighea, son figlia di Calliope. Non credere alle favole inventate su di noi: non uccidiamo nessuno, amiamo soltanto“, dirà poco dopo la sirena al ragazzo.
Il resto non ve lo racconto. Ma le tre settimane che Rosario passò con la sirena, parlando con lei in greco antico, lo riportarono indietro di tremila anni, quando in Sicilia abitavano gli dei, quando l’amore era animale e spirituale allo stesso tempo.
A questo racconto mi lega anche un altro ricordo di ragazza. Un brano musicale scritto dal cantante siciliano Kaballà dedicato proprio a Lighea.
Ma torniamo indietro alle parole della sirena. A quali favole si riferiva? Immagino a quelle di Omero nell’Odissea.
Là le sirene erano metà donna e metà uccello e soprattutto conducevano alla morte lo sventurato che ne avesse udito il canto. Per questo Ulisse fa turare le orecchie ai suoi compagni e si fa legare all’albero della nave: per ascoltare quelle melodie senza farsene ingannare.
Ed è così che viene rappresentato nel famoso vaso delle sirene, uno stamnos a figure rosse del V secolo a.C.
Tomasi di Lampedusa però ci avverte: “Il canto delle sirene non esiste: la musica cui non si sfugge è quella sola della loro voce“.
Dunque la sirena nell’antichità aveva una connotazione negativa: era seducente come una donna ma fatale come un’arpia. In questa strana forma, più goffa che sensuale, la sirena compare anche in forma di scultura o contenitore.
Con la sua simbologia negativa, la sirena passò dritta dritta nella cultura religiosa medievale, che già abbondava di convergenze tra il femminile e il demoniaco…
«Sirenae sunt marinae puellae quae navigantes pulcherrima forma et canto mulcendo decipiunt et capite usque ad umbilicum sunt corpore virginali et humano generi simillimae; squamos tamen piscium caudas habent, quibus semper in gurgite latent» (le sirene sono fanciulle marine che ingannano i navigatori con il loro bellissimo aspetto ed allettandoli col canto; e dal capo e fino all’ombelico hanno il corpo di fanciulla e sono in tutto simili alla specie umana; ma hanno squamose code di pesce che celano sempre nei gorghi), così si legge nel Liber monstrorum de diversis generibus, un testo dell’VIII secolo.
Ed è con questa coda di pesce che la sirena è raffigurata nelle miniature e nei capitelli, spesso in forma bicaudata, con la doppia coda divaricata in modo simmetrico. Simbolo sessuale di rigenerazione o monito di dannazione eterna?
Vi ricorda qualcosa, vero? Esatto, la sirena bicaudata è il simbolo di Starbucks, la catena americana di caffè.
Ma torniamo alla nostra passeggiata tra le sirene nella storia dell’arte. Com’è facile immaginare, una creatura del genere, mitica e conturbante, scompare quasi completamente dal Quattrocento al Settecento. Le rare apparizioni sono solo quelle legate al mito di Ulisse. Ma il protagonista è l’eroe di Itaca, non le sirene (che in questo caso tornano alla versione aviaria).
È nell’Ottocento che la sirena torna davvero, con tutta la sua carica erotica. I primi a riscoprirla sono stati i Pre-raffaelliti, un gruppo inglese che a metà del secolo decise di recuperare, non a caso, lo spirito del Medioevo, col suo mistero e la sua eleganza.
La sirena, a questo punto, non può che essere una creatura bellissima, come nei dipinti di John William Waterhouse.
Naturalmente torna anche la versione omerica, ma con un accento maggiore alle figure femminili che tentano i marinai. In un caso anche nell’antica forma di uccello.
Ma non erano più tempi per raccontare ancora di uomini che resistono al fascino delle sirene. E così, negli stessi anni, compare anche la versione della sirena che seduce il pescatore. Un genere che avrà molta fortuna.
A questo gruppo appartiene anche un dipinto italiano di rara bellezza, che potrebbe illustrare splendidamente il racconto di Tomasi di Lampedusa. È la Sirena (o abisso verde) di Giulio Aristide Sartorio.
Per descrivere questo dipinto si è scomodato persino Luigi Pirandello che lo vide in un’esposizione a Roma: “Un’onda verde s’avvalla: in quell’avvallamento si culla e s’abbandona la Sirena pallida, dalla fulva chioma sparsa, un braccio immerso e trasparente nell’acqua, l’altro ripiegato sul seno, con tentatrice mollezza. Dall’alto del quadro una breve barca si piega a seguir l’onda; sulla barca, proteso e supino, un adolescente cinge con un braccio l’emersa incantatrice. In quest’onda è tagliato con sommo ardire tutto il quadro. E vi par di sognare, guardandolo“.
Forse al nostro Luigi era sfuggito un dettaglio che fa sognare un poco meno: nell’angolo in basso a sinistra, sul fondale, un teschio e alcune ossa alludono a un finale della storia tutt’altro che lieto…
In altri dipinti l’allusione alla morte scompare del tutto e la creatura appare persino fragile e materna.
Negli stessi anni si occupa delle sirene un autore insospettabile. Anche se, pensandoci bene, l’angoscia che gli provocano le donne si abbina perfettamente al tema della divoratrice dei mari. Sto parlando di Edvard Munch e delle sue sirene al chiaro di luna. Spettrali come fantasmi. E mute. Perché, come dice Kafka, “le sirene possiedono un’arma ancora più temibile del canto, cioè il loro silenzio”.
Sono piuttosto inquietanti anche le sirene di Gustav Klimt. Creature diafane avvolte una massa scura e gelatinosa.
Nulla a che vedere con l’inoffensiva e tenera Sirenetta di cui aveva scritto Andersen nel 1837. Per gli artisti la sirena restava la quintessenza della donna. Pericolosamente irresistibile.
Solo con Marc Chagall la sirena si trasferisce nel regno delle favole per volteggiare in cielo con mazzi di fiori.
Ma siamo già in pieno Novecento. E la sirena è pronta per l’ultima straordinaria evoluzione, quella surreale e spiazzante di René Magritte. Che non fa altro che prendere alla lettera la definizione di sirena: metà donna e metà pesce.
Ma in tutto questo, che fine ha fatto la nostra Lighea? Compare ancora nei silenzi estivi o si è inabissata per sempre?
“Sono immortale perché tutte le morti confluiscono in me, e in me radunate ridiventano vita“. Così ha detto al suo amante. Dunque Lighea non può morire, non può non esistere.
Allora aspettiamola. Forse cerca solo un po’ di quiete per tornare a cantare e incantare.
Incantevole come sempre….
Grazie, Alex!
Incantato.
Grazie per i tuoi bellissimi articoli e per gli spunti di lavoro che essi offrono, anche a alle insegnanti della primaria, che come me amano l’arte e la storia.
Ottimo! Grazie a te, Ornella.
bellissimo articolo il connubio arte e letteratura ben spiegato è molto affascinante. sono sempre interessanti e piacevoli da leggere i tuoi studi. complimenti !!!
Grazie, Antonio 🙂
Siete sempre professionali. Grazie
Ti ringrazio.
Affascinante viaggio nel mondo delle sirene.
Lo userò come uno degli argomenti della maturità delle mie quinte.
Grazie molto per i tuoi preziosi spunti
Buona idea. Grazie a te!
Come sempre…incanti!
Grazie 😀
Gentile Emanuela,
complimenti vivissimi per il tuo blog, miniera di spunti e materiali preziosi e, in particolare, per questo percorso interdisciplinare, affascinante come una sirena, senza inganni però!
Grazie
Grazie mille, Daniela!
Ho letto con piacere il tuo articolo. Grazie e…A presto! Antonella Boscarini
A presto! 🙂
In un periodo in cui cerco le sirene, quest’articolo ed il racconto di Tomasi di Lampedusa sono benvenuti; grazie poi alle parole con cui esponi le tue idee.
Una nota: Starbuck era il primo ufficiale del Pequod (dal Moby Dick); da lì è nato il nome della catena (ma forse lo sai…).
A parte: Osvaldo, sei tu? quello di Firenze?
Grazie Emanuela, mi piace moltissimo leggerti, peccato che tu sia così lontana (io attualmente abito a Milano).
Sono una nonna e mia nipote Caterina di 11 anni frequenta la prima media. E’ ed è sempre stata brava a scuola…ma quest’anno confessa di “non amare molto” la Storia dell’Arte. Per Natale vorrei regalarle uno dei tuoi libri per cercare di farle cambiare idea, cosa mi consiglieresti?
Grazie, attendo con impazienza il tuo suggerimento.
Un caro saluto, Roberta
Ti ringrazio per l’apprezzamento, Roberta.
Mi spiace tanto per Caterina. Evidentemente le stanno porgendo una storia dell’arte ingessata e noiosa.
Io ho scritto questo proprio per la scuola media: https://www.zanichelli.it/ricerca/prodotti/artemondo-pulvirenti ma penso che più dei libri possa funzionare visitare mostre e musei partecipando alle attività didattiche per ragazzi.
Un abbraccio.
Grazie Emanuela…ti farò sapere.
Meno male che ci sono persone appassionate, competenti e generose come te.
Buona continuazione e alla prossima!
Un abbraccio anche a te.
Roberta
Grazie
una bellissima divagazione piena di riferimenti
🙂
Grazie- estremamente interessante e piacevole.
super
Grazie Emanuela Pulvirenti, sempre molto piacevoli e interessanti gli articoli che pubblichi
Grazie a te, Osvaldo.