Lo spettacolo nella scatola prospettica
Si narra che Paolo Uccello (1397-1475) fosse un vero patito della rappresentazione prospettica. Vasari racconta come il pittore si esercitasse giorno e notte e che, all’invito della moglie ad andare a dormire, rispondesse estasiato: “Oh, che dolce cosa è questa prospettiva!“.
Quell’entusiasmo è comprensibile: la tecnica della prospettiva era stata da poco messa a punto da Brunelleschi e Alberti e l’idea di poter disegnare in modo realistico la profondità e il volume era qualcosa di sconvolgente. Come scrisse Goethe “Chi per primo in un quadro fissò sul suo orizzonte i punti di convergenza del vario gioco delle linee orizzontali, trovò il principio della prospettiva“.
Ma Paolo Uccello non è stato l’unico a restare folgorato dalla magia della prospettiva. Nei secoli seguenti altri artisti si sono cimentati nel tentativo di portare la tecnica fino alle sue estreme conseguenze. Uno di questi esperimenti è la scatola prospettica, un parallelepipedo dipinto al suo interno in modo da ricreare la percezione di ambienti tridimensionali se osservato attraverso uno spioncino. Comparsa in Olanda intorno al 1650, è stata prodotta solo per pochi decenni. Delle sei scatole che si sono conservate sino ad oggi, quella di Samuel van Hoogstraten (1627-1678) è la più sofisticata.
La parte anteriore, da cui si può osservare un interno di casa olandese del XVII secolo un po’ deformata, era in origine coperta con carta traslucida per consentire l’illuminazione della scena. Per vedere l’interno correttamente, trattandosi di immagini anamorfiche, bisogna guardarla da uno dei due fori laterali.
Le cinque superfici della scatola sono studiate appositamente per ricreare l’illusione di un ambiente reale e articolato, le cui superfici non corrispondono a quelle della scatola ma proseguono da un lato all’altro in modo coerente.
Guardando dal foro a sinistra possiamo vedere una donna seduta in un angolo a leggere mentre un uomo sbircia da dietro la finestra. Se si guarda dal foro a destra compare in primo piano un cagnolino che guarda proprio verso di noi. L’unica altra presenza è una donna che dorme sotto il baldacchino azzurro. La firma dell’artista è sulla lettera posata sopra il tavolino.
Lo straordinario effetto illusionistico è merito della pittura di van Hoogstraten, ricca di dettagli e dall’impeccabile resa della luce. Non è un caso che uno dei suoi soggetti preferiti sia il pannello portalettere trompe l’oeil.
È attribuita a van Hoogstraten anche un’altra scatola prospettica, stavolta sviluppata in altezza, che raffigura in primo piano una natura morta e sullo sfondo una coppia accanto a un’arco aperto verso il paesaggio. Un cane e un gatto stanno per azzuffarsi proprio presso il tavolo.
In questo caso la base non è un rettangolo ma una sorta di pentagono irregolare, con la punta sul fondo. Ha pianta triangolare, invece, la scatola prospettica di Pieter Janssens Elinga (1623-1682). Dallo spioncino, posto sul pannello frontale, si può osservare un altro interno olandese con un servizio da tè sul tavolino.
La composizione non è dissimile dalle tante scene di genere realizzate da Elinga e ambientate dentro le stanze, con donne intente a leggere o sbrigare le faccende domestiche.
Alo Statens Museum for Kunst di Copenhagen si conserva un’altra scatola prospettica, di autore ignoto, con una profonda scena d’interni.
Sembrano oggetti molto elementari, eppure sapevano suscitare grande meraviglia. In effetti si possono considerare degli antenati del cinema, per quanto privi di movimento. E ancora oggi c’è chi si diletta a costruire piccole scatole prospettiche come quelle olandesi. L’importante è avere una perfetta conoscenza dei meccanismi della prospettiva. Ecco un esempio realizzato all’interno di un corso universitario di matematica.
Un modello tridimensionale, molto simile alla scatola di van Hoogstraten, è stata realizzata dal pittore americano Jimmy Sanders pochi anni fa e raffigura il suo studio a Firenze.
Questo esempio dimostra che il fascino di questo piccolo spettacolo, in bilico tra due e tre dimensioni, è sempre attuale e che le varie realtà aumentate/virtuali/immersive non sono altro che figlie di un esperimento olandese del Seicento.
Potreste inserire il luogo/museo in cui sono conservate le opere di cui si parla negli articoli?
Salve Ilaria, i link alle pagine dei musei (per le scatole di cui conosco il luogo di conservazione) è la parola in grassetto rosso.
Ho provato a leggere il libro di panofsky sulla prospettiva degli antichi, e. Riusciresti a dare qualche indicazione? Lui va oltre l’intuitivita’ e utilizza il cilindro, ma se dicessi di aver capito qualcosa mentirei spudoratamente.
Articolo spettacolare, come sempre 🙂
Salve Edoardo, spiegare qui le tesi di Panofsky non è semplice. Ad ogni modo, come ho scritto nell’altro commento, gli antichi lavoravano per via intuitiva mentre gli artisti del Rinascimento hanno individuato le regole geometriche alla base del procedimento.
La questione della superficie cilindrica si riferisce ai limiti della prospettiva rispetto alla visione dell’occhio umano: nel nostro occhio l’immagine si forma su una superficie concava e questo fa sì che lungo i lati non ci siano deformazioni, mentre la stessa immagine in prospettiva – essendo ottenuta sopra una superficie piana – tende ad avere delle aberrazioni laterali. È quello che si può notare anche nelle foto scattate con un grandangolare molto spinto.
Sempre interessantissimo grazie.
Gentile professoressa, quest’anno ho visitato Pompei ed Ercolano e in qualche affresco è possibile riconoscere architetture rappresentate in prospettiva: ma allora prima di Brunelleschi e Alberti la prospettiva era già stata studiata?
Si tratta di una forma intuitiva di prospettiva, spesso basata sull’asse di fuga piuttosto che sul punto di fuga (in pratica le rette convergono in coppie verso punti disposti lungo un asse verticale centrale e non verso un unico punto). Ma le regole matematiche per disegnare in prospettiva, partendo da pianta e alzato, sono state codificate solo nel Quattrocento.