Duemila anni di arte rubata

Da quando esiste l’arte esistono anche i furti d’arte.
Generalmente il furto (che può avvenire in un museo, una chiesa, ma anche attraverso uno scavo clandestino) viene compiuto per rivendere il bene, sia autonomamente che su commissione. Ma in alcuni casi il furto viene messo in atto per ottenere un riscatto, per ricattare lo Stato, per un’azione dimostrativa oppure per tenere l’opera per sé.

In tempi antichi si trattava in genere del bottino di guerra: il vincitore si appropriava delle opere d’arte del nemico e le portava in patria come segno di trionfo e umiliazione dei vinti. È così che arrivarono a Venezia i quattro splendidi cavalli  bronzei di età ellenistica prelevati dall’ippodromo  di Costantinopoli dai crociati, all’inizio del XIII secolo (quelli sulla facciata di San Marco sono copie, gli originali sono nel museo della basilica).

Ma c’erano stati già diversi casi di furti commessi per la pura brama di possedere opere d’arte. L’episodio più plateale è quello del romano Verre, il governatore della Sicilia che nei tre anni in cui vi risiedette (dal 73 al 70 a.C.) si impadronì di centinaia di collezioni private e pubbliche prelevandole con la forza.
Contro di lui si leverà alta la voce di Cicerone che nelle sue famose Verrine, accusò Verre – tra le tante – di aver fatto “rimuovere e asportare dal santuario di Catania una statua di Cerere, che non era lecito neppure guardare, nonché toccare; mentre un’altra la rimosse dalla sua sede ad Enna, una statua che quando gli uomini la vedevano credevano di vedere Cerere in persona o almeno un’immagine calata dal cielo, più che fabbricata dagli uomini”.
Magari era proprio quella dea di Morgantina nuovamente rubata nel XX secolo…

A questo genere di ruberia, plateale e sfacciata, appartiene anche il celebre episodio del 1608 quando il cardinale romano Scipione Borghese, pur di arricchire la sua collezione personale, commissionò il furto della Pala Baglioni, un dipinto con la raffigurazione del trasporto di Cristo morto realizzato da Raffaello un secolo prima, nel 1507, e conservato nel convento di San Francesco al Prato, a Perugia.

Nella notte tra il 17 e il 18 marzo la tela, con la connivenza dei frati, venne calata dalle mura della città. Questo avvenimento rischiò di provocare una rivolta cittadina e creò un clima di forte tensione. Così, nell’arco di pochi giorni, l’atto venne fatto passare come donazione spontanea e  il 9 aprile la tela venne dichiarata «cosa privata del cardinale» dal papa Paolo V (cioè Camillo Borghese, zio di Scipione e promotore dell’edificazione di Villa Borghese) ufficializzando definitivamente la legittimità del passaggio.
Scipione, come risarcimento, ne inviò una copia a Perugia. Oggi nella città umbra se ne trovano ben tre mentre l’originale è ancora presso la Galleria Borghese di Roma assieme alle sculture commissionate a Bernini dallo stesso cardinale.

È un gigantesco furto su commissione anche quello passato alla storia come Spoliazioni napoleoniche. Nel corso delle campagne di conquista in Europa e in Africa, tra il 1797 e il 1815, le truppe di Napoleone sottrassero su suo ordine migliaia di opere d’arte dai territori occupati. Italia, Spagna, Paesi Bassi, Belgio ed Egitto si videro spogliati dei loro maggiori beni artistici per confluire verso la Francia nel futuro “Museo Universale” immaginato da Napoleone. Secondo gli studiosi si è trattato del più grande spostamento di opere d’arte della storia, un’appropriazione indebita che all’indomani del Congresso di Vienna del 1815 si cercò di sanare. 

Per trattare il rientro delle opere razziate fu inviato dall’Italia Antonio Canova, celebre scultore neoclassico. Ma delle 506 opere rubate nel cosiddetto “Sacco d’Italia” solo la metà venne restituita. Sono tornati indietro, tra gli altri, il Laocoonte,  il Discobolo, la Venere Medici e l’Apollo del Belvedere. Sono rimasti in Francia, invece, la Crocifissione di Andrea Mantegna, lo Sposalizio di Perugino, la Maestà di Cimabue, il Codice Atlantico di Leonardo e tante altre opere rinascimentali e barocche. 

È ancora a Parigi anche l’enorme telero con le Nozze di Cana dipinto da Paolo Veronese nel 1563. Si trova al Louvre, proprio di fronte alla Gioconda (che invece appartiene alla Francia legittimamente, essendo stata venduta al re di Francia nel 1517 dallo stesso Leonardo). Nel  refettorio del monastero di San Giorgio Maggiore a Venezia, da cui l’opera è stata trafugata, si può osservare solo una copia.

E proprio la Gioconda ci offre l’occasione per raccontare un altro furto clamoroso, diverso da quelli precedenti. Monna Lisa, infatti, non venne rubata su commissione ma da un imbianchino italiano, tale Vincenzo Peruggia, che agì di sua iniziativa. 

Il furto avvenne la mattina del lunedì 21 agosto 1911, giorno di chiusura del Louvre. L’uomo – che la domenica pomeriggio si era chiuso in uno sgabuzzino – staccò semplicemente il quadro dal muro, l’avvolse nella sua giacca e uscì indisturbato da una porta secondaria tornando tranquillamente a casa in autubus. Il furto viene scoperto la mattina seguente da due pittori che erano andati al museo per esercitarsi nella copia dei grandi maestri.

A quel punto si scatena la caccia al ladro. Tra i sospettati c’è persino Pablo Picasso, ma del ritratto non c’è traccia. Per due anni Peruggia lo tiene in casa sua a Parigi.
Il quadro verrà recuperato l’11 dicembre 1913 a Firenze dove Peruggia si era recato con il quadro per incontrare un gallerista. Qui, riconosciuta l’opera da parte del direttore degli Uffizi, opportunamente avvisato dal gallerista e condotto all’appuntamento come esperto per l’autenticazione, il ladro venne arrestato.

Peruggia affermò sempre di aver compiuto il furto per patriottismo e che la sua intenzione era di restituire all’Italia un capolavoro che era stato sottratto da Napoleone (cosa non vera, come dicevamo sopra). In realtà voleva semplicemente vendere il dipinto. Il quadro verrà restituito alla Francia il 4 gennaio 1914 dopo essere stato esposto anche alla Galleria Borghese, e da quel momento protetta da un vetro blindato e collocata in un posto d’onore.

Di natura diversa è la sottrazione delle opere d’arte attuata dai nazisti su ordine di Hitler intorno al 1939. In quel caso molti dipinti sono stati sequestrati ai proprietari di religione ebraica, mentre altri sono stati prelevati dai musei perché non conformi allo ‘stile di regime‘.

Migliaia di opere sono finite sul rogo mentre altrettante sono state esibite in una mostra dal titolo “Arte degenerata” (Entertete Kunst) in cui le opere delle Avanguardie veniva derise e gli artisti oltraggiati. Tra gli artisti più noti finiti nel mirino dei nazisti anche Matisse, Munch, Cézanne, Kirchner, Picasso, Nolde, Klimt, Modigliani, Mondrian e De Chirico.

Per andare a tempi più recenti, è d’obbligo citare il furto della Natività dipinta da Caravaggio nel 1600. Trafugata nella notte del 17 ottobre 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo, tagliandola con una lametta dalla cornice, non è mai stata ritrovata.

Le indagini si sono orientate subito verso la pista mafiosa ma i membri dei clan che hanno citato il dipinto durante i processi non hanno mai dato elementi utili al ritrovamento. Uno di loro raccontò che dopo il furto la tela venne arrotolata danneggiandosi irrimediabilmente e lui stesso ne avrebbe bruciato i resti. Un altro affermò che la tela sarebbe stata ancora integra e che la mafia voleva usarla per una trattativa con lo Stato in cambio di un alleggerimento delle pene per i reati di mafia. Un pentito disse che un boss lo usava come scendiletto e che il dipinto veniva esposto durante le riunioni dei mafiosi come segno del loro potere. Secondo un’altra testimonianza la tela sarebbe stata nascosta in una stalla dove l’avrebbero divorata topi e maiali. Di pochi anni fa è l’ultima dichiarazione: il dipinto sarebbe stato portato in Svizzera dove un antiquario l’avrebbe rivenduto a collezionisti privati dopo averlo diviso in quattro porzioni.

Da cinquant’anni i nuclei investigativi di tutto il mondo sono in cerca del Caravaggio rubato. Ma non è l’unica opera d’arte di cui si siano perse le tracce. Nella lista dei ricercati redatta dall’Interpol compaiono anche un mare in tempesta di Rembrandt del 1633, un concerto a tre di Vermeer del 1666, un vaso di fiori di van Gogh del 1886, una danza di Picasso del 1956 e tanti altri.
La maggior parte di queste opere è stata sottratta dal museo dove era conservata per essere rivenduta nel mercato clandestino di opere d’arte in quanto si tratta di quadri di enorme valore economico (dell’ordine di decine o centinaia di milioni di euro). 

Il furto di un’opera d’arte, tuttavia, può avvenire anche prima che questa giunga in un museo. È il caso dei manufatti rinvenuti negli scavi archeologici clandestini e rivenduti illegalmente. Come ho spiegato tempo fa in un apposito articolo, ciò che sta nel sottosuolo – anche in terreni privati – appartiene allo Stato: tenerlo per sé costituisce un furto, mentre rivenderlo si configura come ricettazione, un reato piuttosto grave.

Tuttavia non è semplice ottenere la restituzione di un manufatto da un museo straniero che l’ha acquisito più o meno legittimamente. Occorre infatti dimostrare la provenienza illecita. Un caso da manuale è quello che riguarda la testa di Ade, un’opera in terracotta policroma di età ellenistica caratterizzata da una barba blu riccioluta e conservata al Getty Museum di Los Angeles dal 1985, dopo l’acquisto da un miliardario americano.

L’opera venne catalogata anni dopo, assieme a tutti i beni presenti nel museo, da Maria Lucia Ferruzza, un’archeologa palermitana. Nel frattempo in Sicilia un’altra archeologa, Serena Raffiotta, si occupò di catalogare migliaia di frammenti provenienti dal saccheggio di un’area nei pressi di Morgantina conservati in cassette nei magazzini del vicino Museo Archeologico di Aidone, in provincia di Enna. Tra ciò che i tombaroli avevano lasciato c’era anche un “ricciolo spiraliforme, modellato a mano e ritoccato a stecca” con “consistenti tracce di colore azzurro”.

Raffiotta pubblicò quegli studi nel 2007 e ne donò una copia nel 2009 a Ferruzza, in occasione dell’esposizione degli acroliti di Morgantina nel museo di Aidone (anch’essi provenienti dal Getty). La studiosa, visto il frammento ripensò immediatamente a quella testa osservata a Los Angeles. La cosa fu comunicata subito al museo, che intanto aveva intrapreso una politica più trasparente ed etica nell’acquisizione delle opere d’arte. Nuove indagini portarono al ritrovamento di altri tre riccioli nel magazzino: uno blu della barba e due rossi, appartenenti ai capelli.

Nel 2011 il Getty chiese in prestito i quattro riccioli per una comparazione. Quando furono provati sulla testa calzavano a pennello, come la scarpetta di Cenerentola, e così nel 2013 si mise in moto la complessa macchina burocratica per la restituzione della testa.

L’opera, dopo mille peripezie legali, giungerà ad Aidone il 15 novembre 2016.

Una storia a lieto fine, dunque.
Ma tante opere aspettano ancora di essere ritrovate e di tornare nei luoghi di appartenenza. Le indagini spettano alle forze dell’ordine competenti, ma anche noi possiamo contribuire. Come? Imparando a capire e ad amare l’arte, naturalmente! Perché solo una comunità consapevole del valore del proprio patrimonio è in grado di proteggerlo e trasmetterlo alle generazioni future.

***

P.S.  – L’avventura della testa di Ade è in “Ladri di antichità”, a cura di Simona Modeo e Serena Raffiotta, edizioni Lussografica, 2020

P.S.bis – Gran parte di questi furti li ho raccontati durante la puntata di Geo-Rai3 del 18 gennaio 2022

Potrebbero interessarti anche...

10 risposte

  1. Maddalena Basso ha detto:

    Grande articolo!
    Grazie per questo approfondimento, l’ho subito segnalato ai miei studenti!

  2. Francesca ha detto:

    Grazie molto interessante

  3. Rosa Maria Motta ha detto:

    What a wonderful essay! My students will definitely read. Thank you for keeping us interested!

  4. Marilena Benevelli ha detto:

    Siamo stati fortunati noi cittadini di Parma, che sotto il governo di Maria Luigia duchessa di Parma, per volere della medesima, facendosi forza della sua posizione di moglie di Napoleone,ha fatto in modo che molte opere di questa città vi facessero ritorno nei palazzi, nei musei e nelle sue chiese.
    Grazie per il suo blog e le sue pubblicazioni librarie edite da Zanichelli, interessanti e utili per quelli come me che amano l’arte da autodidatti.
    Cordiali saluti.

  5. Edoardo ha detto:

    Straordinaria

  6. Marino Calesini ha detto:

    Sempre interessantissimo grazie.