Vi racconto Les demoiselles d’Avignon
Una pietra miliare nel lungo corso della storia dell’arte. Un quadro mostruoso, direbbero i miei studenti.
Ed hanno ragione! Sì, perché “mostro”, dal latino monstrum, vuol dire prodigio, cosa straordinaria, contro natura. Ed è forse il primo quadro che abbandona definitivamente il naturalismo, l’idea che l’arte migliore sia quella che imita la realtà come appare ai nostri occhi.
Un’opera fuori dall’ordinario, dunque.
Pablo Picasso la dipinse tra il 1906 e il 1907 a Parigi (oggi però si trova al MOMA di New York) inaugurando la breve ma intensa stagione del Cubismo.
Ecco, fermiamoci per ora su questo movimento, un’Avanguardia artistica del Novecento tra le più dirompenti.
Il nome che la definisce è del tutto occasionale: nel 1908 il pittore Henri Matisse aveva descritto, in senso spregiativo, alcune opere di Georges Braque come composte da “piccoli cubi”. L’anno seguente il critico Louis Vauxcelles le definì “bizzarrìe cubiste”.
E, come era accaduto per l’Impressionismo e per i Fauves, una denominazione inizialmente negativa diventa il nome ufficiale del movimento. Il Cubismo, un movimento rivoluzionario, era ufficialmente nato.
Il punto di partenza era l’opposizione alla “meccanica” riproduzione del reale che veniva rimproverata all’Impressionismo (!), una visione puramente “retinica” del mondo, a favore, invece, di una realtà interpretata in modo razionale, un mondo “capito”, non soltanto “visto”.
Gli oggetti, quindi, andavano raffigurati come realmente sono e non come appaiono.
Secondo questo criterio, un cubo non deve essere rappresentato in prospettiva (e quindi come apparirebbe agli occhi di un osservatore) ma con tutti i piani ribaltati.
Questo perché il primo tipo di immagine è “verosimile“, somiglia al modo in cui vediamo le cose, ma non è “vera“: nella prospettiva possiamo vedere al massimo tre facce (il cubo invece ne ha sei) e le facce non appaiono quadrate ma a forma di quadrilateri irregolari (ed anche questo contrasta con le reali proprietà geometriche del cubo).
Allora è molto più “vero” il secondo modo di rappresentare le cose!
D’altra parte anche Braque lo diceva: “Bisogna avere il coraggio di scegliere, poiché una cosa non può essere insieme vera e verosimile“. E sappiamo già cos’hanno scelto i cubisti…
Hanno scelto di dipingere come i bambini che, non conoscendo la prospettiva e non essendo istintivamente portati alla copia dal vero, tendono a fare un disegno stereotipato e mentale della realtà. Per motivi piuttosto simili è lo stesso modo di rappresentare il mondo tipico della pittura egizia.
Quella tra la prospettiva e lo sviluppo del cubo è la stessa differenza che passa tra il fenomeno e il noùmeno di cui parla Kant (ma appena lo dico in classe si leva un coro di “Nooo! La filosofia nooo!”), cioè l’apparenza e l’essenza delle cose.
I cubisti partono, dunque, dallo studio della realtà per scomporla e ricomporla in un nuovo ordine che cancella persino la distinzione tra gli oggetti e lo spazio che li circonda. Il medesimo oggetto viene colto da diverse angolazioni che poi vengono sovrapposte nella rappresentazione. Quello che ne risulta è la visione simultanea di tanti punti di vista differenti e quindi la rappresentazione del soggetto nella sua totalità.
Il processo di scomposizione in piani e di successiva ricomposizione disintegra le forme, elimina la distinzione tra figura e sfondo e abbandona definitivamente la prospettiva rendendo complicato anche l’individuazione del soggetto dell’opera (in genere ritratti e nature morte, generi abbastanza congeniali alla scomposizione geometrica).
È come se il dipinto fosse il riassunto sincronico di un percorso che l’artista ha fatto intorno al soggetto da ritrarre.
Dunque, per la prima volta, viene mostrata anche la “quarta dimensione”, il fattore tempo (ma è stata messa da parte la terza, la profondità).
In una incredibile coincidenza temporale, la definizione di tempo come quarta dimensione della realtà, era postulata, negli stessi anni, dalla Teoria della Relatività di Albert Einstein.
La contemporaneità dei due fenomeni sembrerebbe piuttosto casuale. E tuttavia è davvero singolare come, in due campi molto lontani tra loro, si avverta la stessa esigenza di superare la conoscenza empirica, sensibile, della realtà per approdare a nuovi modelli di descrizione e rappresentazione del reale.
Einstein e Picasso, dunque, teorizzano contemporaneamente che la conoscenza dello spazio e del tempo sono relativi al punto di osservazione. Il primo formula una legge matematica, il secondo una visualizzazione artistica.
Sulla nascita del Cubismo influisce anche la conoscenza dell’arte primitiva dell’Africa e dell’Oceania con le sue forme schematiche, deformate e geometrizzate.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento e fino ai primi decenni del Novecento, infatti, era maturata in tutta Europa una forte insoddisfazione nei confronti della cultura occidentale: entra in crisi il concetto stesso di cultura, intesa come sapere nozionistico, libresco e tradizionale.
Rinasce l’interesse per il “primitivismo” (che include anche l’arte infantile, arcaica, popolare e quella di malati ed emarginati), per le sue capacità espressive, per la libertà dalle leggi prospettiche tradizionali, per la sensibilità deformante, per la sua forte spiritualità e per la creatività istintiva.
Il Cubismo è profondamente influenzato anche dalla pittura schematizzante di Paul Cézanne che con la sua geometrizzazione delle forme ne è considerato un anticipatore.
Braque e Picasso, infatti, cercarono di seguire le regole indicate, in una celebre lettera, da Cezanne: “in natura tutto è modellato secondo tre moduli fondamentali: la sfera, il cono e il cilindro. Bisogna imparare a dipingere queste semplicissime figure, poi si potrà fare tutto ciò che si vuole”.
Anche in questo caso, dunque, l’esigenza è di mostrare la realtà non come appare, ma nel modo in cui la mente ne percepisce l’apparenza: alla realtà-vista si sostituiscono così la realtà-pensata e la realtà-creata.
Da queste premesse nasce il Cubismo il cui sviluppo ufficiale è compreso tra il 1908 e l’inizio della Prima Guerra Mondiale.
In questo breve arco di tempo si distunguono due fasi: il Cubismo Analitico (1908-1912) caratterizzato da un’accentuata frammentazione delle forme e dall’uso di colori spenti, spesso di un solo tono cromatico (monocromo), e il Cubismo Sintetico (1912-1914), che attua un parziale recupero del colore e delle forme, ormai però completamente svincolate dalla concezione spaziale tradizionale, e introduce l’uso di incollare sulla tela pezzi di giornale e materiali vari (il cosiddetto papier collé).
Dopo questa interminabile premessa (ma necessaria, vi assicuro!) ecco che Les demoiselles d’Avignon comincia ad apparire meno “mostruoso”, più comprensibile e coerente.
Il nome dell’opera si riferisce a una delle più famose case di appuntamento di Barcellona, situata in via Avignone (dunque le “signorine” non sono avignonesi come suggerirebbe il titolo), e raffigura cinque giovani prostitute nude: quattro apparentemente in piedi, poste di fronte, di tre quarti e di profilo, e una seduta.
Originariamente il quadro doveva intitolarsi Le bordel d’Avignon e, in una prima stesura, erano previste anche due figure maschili, uno studente con un pacchetto sotto il braccio e un uomo seduto al centro con un teschio in mano, poi scomparse nelle modifiche successive.
La composizione del gruppo è influenzata dalle opere di Cézanne, del quale fu aperta una retrospettiva nel 1907 a Parigi, e in particolare dalle tele dedicate a gruppi di cinque bagnanti.
Ciascuna delle donne ha un diverso atteggiamento, alcune indossano un drappo, un velo o un lenzuolo. Le figure centrali sono rimaste simili ai primi schizzi, i loro volti spagnoleggianti sono disegnati con grande chiarezza, sebbene stilizzati.
La compresenza di occhi frontali e nasi di profilo, soprattutto nella figura a sinistra, richiama, invece, i canoni rappresentativi dell’antico Egitto.
Le due figure a destra sono evidentemente influenzate dall’incontro dell’artista con la scultura africana, una rappresentazione della mente e non degli occhi.
Picasso riprende, così, da alcune maschere africane sia le forme stilizzate che la scarificazione del legno con tratteggi obliqui sui volti.
Curiosamente, accanto all’arte primitiva, Picasso utilizza anche modelli iconografici classici e rinascimentali: la figura centrale, ad esempio, riprende la posa della Venere di Milo, con la gamba nuda protesa in avanti e le spalle inclinate a completare l’equilibrio mentre la donna a destra è ispirata allo Schiavo morente di Michelangelo.
Questa grande varietà di riferimenti non ci deve stupire. Come ho già spiegato nell‘analisi di Guernica, Picasso non faceva mistero della sua tendenza a “saccheggiare” le opere del passato. “A me l’arte piace tutta” e “Io metto nei miei quadri tutto ciò che mi piace” erano le sue abituali affermazioni.
Per questo motivo le donne con le braccia dietro la testa e la presenza, in primo piano, di una donna di schiena ricordano anche “La sorgente” e “Il bagno turco” di Ingres.
La composizione, nel suo insieme, richiama anche “Diana e Atteone” un dipinto di Tiziano nel quale appaiono molti elementi presenti ne Le demoiselles: dal drappo rosso alla donna di schiena a destra.
Nei primi schizzi era già presente la frutta in primo piano, un piccolo frammento di natura morta posto su un tavolino che prosegue verso lo spettatore. Come ho accennato sopra, la natura morta era tra i soggetti preferiti dei cubisti perché permetteva di ridurre a forme geometriche semplici gli oggetti rappresentati, secondo la lezione di Cézanne.
Qui sono raffigurati una mela (storicamente simbolo del peccato), una pera, un grappolo d’uva (simbolo di immortalità) e una fetta d’anguria.
Un ultimo elemento iconograficamente rilevante è la tenda rossa: unico residuo, insieme al tavolino in primo piano, di un’ambientazione tridimensionale (e presente sin dai primi schizzi) è uno stratagemma pittorico di vecchia data che, nei secoli, è servito per dare maestosità, teatralità o intimità ad una scena di interni.
Tutto questo è assemblato secondo uno stile già cubista: c’è la rappresentazione delle cose come sono e non come le si appaiono, la fusione di più vedute simultanee da diversi punti di vista, la disintegrazione della distinzione tra figura e sfondo con conseguente annullamento della profondità prospettica, la geometrizzazione delle figure, l’influenza dell’arte primitva e dello stile di Paul Cézanne.
In base alle analisi ai raggi X e alle testimonianze dei contemporanei, sappiamo che il quadro è stato più volte rielaborato e ridipinto, perché l’artista, stimolato continuamente da nuove intuizioni, provava e riprovava sulla medesima tela le nuove idee che stava maturando (oggi lo chiameremmo “work in progress”).
Il quadro non rappresenta perciò un risultato definitivo: a un certo punto Picasso semplicemente smette di lavorarci e lo lascia nel suo studio per alcuni anni fino a quando, nel 1920, viene acquistato da un collezionista francese e nel 1937 dall’americano Museum of Modern Art (museo che conta, oggi, oltre 2,5 milioni di visitatori all’anno).
So già che i miei studenti continueranno a giudicare quest’opera, se non mostruosa, quanto meno brutta.
Il consiglio giusto, in questi casi, è sempre di Picasso: “Non giudicare sbagliato ciò che non conosci, prendi l’occasione per comprendere“.
Picasso: “Non giudicare sbagliato ciò che non conosci, prendi l’occasione per comprendere“. Faccio mia questa penetrante osservazione, di grande attualità.
Grazie per le sapienti analisi che ci regala.
🙂
…Einstein e Picasso…
Il tempo è solo un’illusione? Molti fisici teorici sostengono di sì.
https://www.youtube.com/watch?v=XHb12peDrdE
Tratto da Mr. Nobody, film talmente straordinario e complesso da far sì che fosse deciso (da chi?) di non farlo uscire in Italia. Meglio per noi i cinepanettoni, evidentemente.
E’ acquistabile in rete, solo in lingua francese e/o inglese salvo ravvedimenti tardivi, tuttavia lo consiglio a chiunque voglia esplorare la teoria delle realtà parallele, del multiverso, l’entropia e la freccia del tempo (ancora Lachesi, Emanuela!), l’evoluzione della specie e il libero arbitrio, attraverso un linguaggio poetico e a volte onirico:
https://i1.wp.com/tothelastword.com/wp-content/uploads/2014/10/Mr-Nobody-FI.jpg?fit=1200%2C605
Per chiudere le note di “Gravity” dei Coldplay, musica e testo fantastici su sequenze fantastiche:
https://www.youtube.com/watch?v=P-N6CSEnCrE
Imperdibile.
Da vertigine! Immaginare altre dimensioni è fuori dalla nostra portata. Concettualmente possiamo pure arrivarci ma la nostra esperienza sensibile ci fa fermare a quelle quattro.
Per me poi, è già fin troppo misterioso lo spazio bidimensionale della rappresentazione!
Naturalmente anche questo film è adesso nella lista.
“Lezione” piacevolissima a leggersi : un valido aiuto, con le opportune semplificazioni, per una madre prof (non di arte!) che segue la propria figliuola nella preparazione dell’esame di terza media. Quando altri prof “latitano”, per fortuna le nuove tecnologie, con i contributi giusti, ci vengono in soccorso. Mi unisco al commento altrui: avrei voluto anch’io averla come insegnante di arte al liceo.
Grazie mille per l’apprezzamento, Maria! E in bocca al lupo alla ragazza 😀
Grazie!!
Identica situazione. Concordo con quanto commentato dalla collega Maria Alberto.
GRAZIE PROF…SPUNTI MERAVIGLIOSI
Grazie a te Paola 🙂
Non riesco a leggere bene le descrizioni dei dipinti che si presentano sfumati dai colori dei quadri sotto riprodotti . Io uso un iPad ,ma fino a poco tempo fa le foro e i dipinti comparivano chiari e senza le scritte sopra ? Cosa é successo ? Un nuovo look ?
Ciao Paolo, visualizzando l’articolo da iPad io non vedo anomalie. Spesso inserisco le didascalie delle opere direttamente nell’immagine, in basso, con un testo bianco e una leggera ombreggiatura per renderlo più leggibile. Se è questa la sovrapposizione a cui ti riferisci è una modalità grafica che utilizzo da sempre tranne quando i dati dell’immagine sono già stati dati nel testo dell’articolo.
grazie mille. ottime considerazioni e acuta analisi
Non deve impressionarci la bruttezza di un opera, ma la bellezza con cui è stata concepita e realizzata…L’arte non deve appare l’occhio, l’anima si.
marco
😀
Questo dipinto fu iniziato da Picasso con intento di rappresentare donne da bordello. Naturalmente con una stilizzazione che già gli era congeniale da tempo. Strada facendo le esperimentazioni cubiste che svolgeva insieme al suo amico Braque lo indussero a interpretarle secondo i principi della nuova corrente e vediamo alcune di queste prostitute prendere sembianze abnormi proprio per descriverne i tratti e le espressioni in tutto tondo o, meglio, girando lo sguardo attorno alsoggetto. Ne scaturirono piani visibili all’occhio reale e all’occhio della mente. Interessante aver sottolineato come Picasso prendesse dal passato e si servisse di soggetti famosi o meno famosi per reinterpretare in nuove composizioni nuove situazioni. Era il principio che egli stesso diceva di seguire. -Io non creo, io invento dando ad invento il significato latino (invenire) di cercare. Picasso cercava, trovava, si appropriava e componeva opere personalissime e che hanno segnato la storia contemporanea.
Perfetto 🙂
Cara collega, io sto con Flora e con i tuoi (nostri) alunni: che brutto sto’ quadro, ma proprio brutto!
Ciò non significa che non sia un prodotto artistico, come tu bene continui a ricordarci: l’arte non per forza e non sempre deve essere bella. Né una bella analisi, quale quella tua, riuscirà a farci vedere bello ciò che bello non è e non aspira ad essere.
Ciò che, però , è “bello” di quest’opera sta tutto nel titolo (quello del tuo post, non quello del quadro): è il tuo raccontare, la tua capacità di saper cucire le idee e le suggestioni, le conoscenze e gli stimoli, con eleganza e discrezione, con cui ossimoricamente riesci a tenere insieme fascinazione e rigore, affabulazione e misura, cesello e minimalismo: cosa in cui difficilmente noi docenti riusciamo, sempre così saccentemente cattedratici o passionalmente ispirati o voracemente programmatici o, semplicemente, aridamente informazionali e burocraticamente educanti.
Grazie, perché se anche non mi convertirai mai al tuo brutto Picasso, riesci sempre a convincermi quanto sia bello insegnare se riesci a farlo come facevano una volta le nonne quando, con naturalezza e semplicità, ci incantavano con un discreto “ora vi racconto…”
Ti voglio bene, Salvatò 😉
Con le tue capacità ed il tuo amore per l’arte meriteresti di essere ministro della cultura.
🙂
Ciao. Io spero di farmi capire, parlo poco italiano. Grazie al tuo bello sito sono imparando la lingua di più 🙂 e anche d’arte. Non ho visto il cubismo così proprio interessante, ha stato veramente informativo questi analisi. Complimenti. (Scusa il mio italiano e troppo malo!)
Ti saluto dal Messico!
Grazie a te!
Continua a seguirmi 🙂
Leggo spesso questa rubrica , ricca sempre di spunti e riflessioni.
Questa volta sei riuscita a trasformare con chiarezza e semplicità un quadro “brutto” davvero, in una chiave per aprire un mondo nuovo …Mi piacerebbero altri post sull’arte contemporanea, per esempio Burri, Pollock.
Grazie per l’apprezzamento 🙂
Una delle particolarità forse poco compresa, è che per l’epoca era del tutto provocatorio rappresentare delle prostitute in un quadro, elevandole a delle dee. Anche per questo il titolo nasconde la vera identità dei soggetti. Il fatto che Picasso fosse influenzato dall’arte africana pare invece non sia vero, come lui stesso affermò ” l’arte africana, mai sentito parlarne”. Ciao
La questione arte africana è smentita dai suoi stessi quadri e sculture di teste africane come quella che ho riportato nel post. Probabilmente avrà smentito questa evidenza per non “sminuire” la portata della rivoluzione cubista.
Tra l’altro non è stato il primo a rappresentare prostitute, Toulouse Lautrec ne aveva già fatto il centro della sua produzione artistica.
Ottima prospettiva quella di confrontare i singoli elementi con i riferimenti iconografici: fa capire la complessità della ricerca cubista e, allo stesso tempo, allarga l’opera in una quantità molteplice di direzioni! 🙂
Grazie dell’apprezzamento, Cristina!
grazie come sempre interessante e ricco di spunti.
Ti ringrazio Susanna 😀
Interessantissimo. Il cubismo è una delle avanguardie storiche più affascinanti
Anche per me lo è 🙂
ottimo, sono interessato al connubio tra matematica e arte.
Se clicchi con il cursore sulle parole in rosso puoi andare ad un documento più approfondito con il confronto tra Cubismo e Relatività 🙂
Avrei voluto averla come insegnante al liceo… Grazie di condividere tutta la sua passione per l’arte con perfetti sconosciuti, sono felicissima di aver trovato questo sito!
Grazie a te Deborah! 😀
stupendo!
Ti lovvo, Gaspare!
Le consiglio di guardare il dipinto di Tiziano dal titolo Diana e Atteone
troverà il vero luogo del saccheggio, e se conosce Ovidio forse il teschio nelle bozze aveva un senso e che la natura morta forse potrebbe essere un diadema……
Io tutte queste cose ho trovato osservando bene.
un po come in guernica dove contro la luce elettrica ” modernità fatta di radio notizie” è contrapposta alla lampada a olio portata dall’artista stesso figlio di Prometeo. ….
🙂 Grazie
Grazie delle segnalazioni, ho già aggiornato il post 🙂
complimenti per l’ottima analisi del lavoro di Picasso e dell’importanza che i suoi contemporanei avevano (anche per lui)
Ti ringrazio Ketty 🙂