Giuditta e Oloferne, variazioni sul tema
Una donna coraggiosa o un’assassina senza scrupoli? Un simbolo di purezza o di sensualità fatale?
Tra questi estremi oscilla da secoli la figura biblica di Giuditta, la bella vedova ebrea che riesce a liberare il suo popolo dall’assedio del generale assiro Oloferne decapitandolo durante il sonno.
Dunque sempre la stessa storia raccontata da infiniti punti di vista dal basso Medioevo fino all’inizio del Novecento. Un episodio che, come un tema musicale, viene ripreso, reinterpretato, arricchito, risignificato.
Variazioni sul tema, dunque. Che Annamaria Testa spiega così:
“Produrre una variazione su un tema vuol dire lavorare su un concetto o una forma o un fenomeno in maniera estensiva, mantenendo alcune costanti e prendendosi la libertà di cambiare tutto il resto fino a toccare, e magari a superare, i confini di quel concetto, di quella forma, di quel fenomeno. Può essere un gioco, una sfida o un’ossessione”.
Un po’ come le divertenti variazioni di Mozart su un tema che senz’altro riconoscerete…
Ma torniamo a Giuditta. Sui codici miniati del Duecento e del Trecento la scena è sempre quella clou: Giuditta che sta sgozzando il nemico mentre questo dorme beatamente oppure Giuditta che tiene già la testa in mano mentre dal collo di Oloferne sprizza ancora il sangue.
A volte è sola, altre volte è con la fedele ancella che le porge un sacco in cui nascondere il trofeo.
Un simile gusto per il macabro si ritroverà solo in età barocca, nel Seicento, quando per espressa richiesta della Chiesa controriformata le immagini sacre dovevano scuotere l’osservatore fin dalle budella…
Con il Rinascimento (parliamo di XV e XVI secolo) la morbosità dell’assassinio lascia il posto all’idealizzazione di Giuditta. Anche quando sta per scagliare la scimitarra addosso ad Oloferne ciò che prevale è l’eleganza del gesto e il portamento fiero.
Questo è particolarmente evidente nel gruppo scultoreo di Donatello, una delle pochissime rappresentazioni in bronzo del racconto biblico.
Leggiadra e malinconica è, invece, la Giuditta di Sandro Botticelli. Sembra quasi danzare mentre torna verso Betulia, la sua città, seguita dalla serva con la testa di Oloferne tenuta sul capo.
Questa piccola tavola fa parte di un dittico ed è preceduta dalla scena della scoperta del cadavere di Oloferne.
Nei lavori di Andrea Mantegna Giuditta è ancora più aggraziata. Il peso del corpo scaricato su una sola gamba (il famoso chiasmo di memoria classica) dà alla figura un andamento sinuoso sottolineato dal panneggio degli abiti.
Oloferne è del tutto assente dalla scena tranne nelle versioni in cui la donna esce dalla tenda con la testa in mano e nell’ombra si intravede il piede destro (il nostro Andrea, a quanto pare, aveva un debole per le piante dei piedi!).
Un dettaglio quasi divertente se non appartenesse ad un uomo appena assassinato!
Ancora più dolce e delicata è la Giuditta di Giorgione. Neanche la coscia che fa capolino dallo spacco del vestito riesce a intaccare l’aspetto casto e angelicato della donna.
Completamente diversa è quella che Michelangelo ha affrescato in uno dei pennacchi della volta della Sistina. Non possiamo vederla in volto perché è colta di spalle mentre copre con un panno l’enorme testa nel vassoio e contemporaneamente osserva il corpo titanico di Oloferne che agita ancora le braccia.
Per trovare una nuova Giuditta bella e sognante, bisogna guardare a Tiziano. La sua eroina tiene delicatamente sulle braccia il vassoio con la testa del nemico. Il gesto è talmente naturale che si direbbe stia portando un mazzo di fiori…
La mancanza di alcuni elementi ricorrenti come la spada o la vecchia serva col sacco hanno fatto credere per molto tempo che si trattasse di Salomé, la conturbante fanciulla biblica che pretese ed ottenne da Erode la testa del Battista.
Non ci sono dubbi invece per le versioni di Lucas Cranach il Vecchio. Il pittore tedesco, ossessionato dalla figura di questa donna, la dipinge decine di volte in una personalissima serie di variazioni sul tema dove le differenze sono quelle minime degli accessori e dell’abbigliamento.
Giuditta, raffinata e indifferente, espone sul tavolo il capo di Oloferne come merce su una bancarella mentre, con gesto lievemente minaccioso, tiene ben in vista la lama della spada.
L’impressione è che i pittori del Rinascimento cerchino a tutti i costi di restituire candore ad una donna capace di gesti così violenti.
Anche quando, come in Giorgio Vasari, la nostra Giuditta è muscolosa e decisa, conserva sempre una bellezza rassicurante e un’espressione di sereno e paziente distacco come a dire “ma vedi che mi tocca fare!”.
Paolo Veronese introduce un dinamismo maggiore: Giuditta tiene la testa tra le mani ma si volta verso l’ancella in direzione opposta. In alto a destra appare un lembo di tenda, elemento che spesso tornerà a fare capolino nelle opere del Seicento (che tra l’altro è ormai alle porte).
Pochi anni ancora e il Rinascimento termina definitivamente sepolto dalle pennellate di Caravaggio.
La sua Giuditta, determinata ma anche un po’ disgustata, mette in scena lo spettacolo della decapitazione di Oloferne sotto una luce teatrale che aumenta la drammaticità del momento. Il sangue schizza sul materasso mentre l’uomo spalanca la bocca e gli occhi in un ultimo sussulto di terrore.
Ultimo tocco barocchissimo: un drappo rosso sollevato come un sipario.
Ancora più truculenta è la decapitazione dipinta da Artemisia Gentileschi. Sicuramente influenzata dalle atmosfere contrastate di Caravaggio, realizza due tele piuttosto simili nelle quali Giuditta e l’ancella bloccano fisicamente Oloferne mentre questo tenta una disperata difesa.
Nella seconda versione la scena è più ampia ma, se possibile, ancora più cruda. Il sangue sprizza a fiotti dalla gola di Oloferne ma Giuditta è ancora più decisa e aggressiva. Insomma: scene da bassa macelleria…
Nelle altre versioni sceglie di rappresentare il momento successivo: le due donne che si allontanano dalla scena del massacro oppure colte mentre nascondono la testa di Oloferne dentro il sacco.
Negli stessi anni anche il fiammingo Pieter Paul Rubens dipinge una Giuditta. E la sua versione, manco a dirlo, è massiccia come tutte le sue donne, con un seno che fa capolino dal corpetto lasciando immaginare una lotta violenta con il nemico prima di sgozzarlo.
L’espressione non è quella innocente di età rinascimentale: complice la luce della candela dal basso verso l’alto, lo sguardo, puntato dritto su di noi, assume un che di feroce.
Nel corso del Seicento l’interesse per questo episodio si mantiene costante. Anche i pittori minori si dedicano alle loro versioni più o meno caravaggesche.
Il Settecento sembra perdere interesse per questo tema. Così come l’Ottocento.
Pochi i casi e abbastanza accademici. Giuditta è sempre trionfante, la scena più raccapricciante è già avvenuta. Siamo in tempo di gusto neoclassico: niente spargimenti di sangue, ma solo personaggi vincenti e valorosi.
Per trovare di nuovo un nome importante bisogna andare in Spagna alla ricerca di Francisco Goya. Siamo intorno al 1820. È il periodo in cui dipinge le “pitture nere” nella Quinta del Sordo, la casa madrilena dove si rifugia in preda ad una crescente angoscia.
Sulle pareti raffigura i suoi fantasmi, le sue visioni tormentate. Le figure si deformano e la tavolozza si riduce ai toni più cupi. Tra queste immagini c’è anche Giuditta in una versione espressionista e tenebrosa.
Diversissima da quella vittoriosa e un po’ retorica delle incisioni di Gustave Doré.
Ma i tempi stanno cambiando. Oltre all’iconografia cambia anche l’iconologia di Giuditta, il significato che assume il personaggio. Nelle mani di Gustave Klimt l’eroina virtuosa diventa femme fatale, donna sensuale e carica di erotismo.
La testa di Oloferne, soprattutto nella prima versione, è quasi invisibile. Protagonista è la donna, anzi la femmina. Sguardo provocante, espressione seducente. Niente a che vedere con la casta vedova ebrea raccontata nella Bibbia. È proprio un capovolgimento di senso.
Non si discosta molto Franz Von Stuck. Anche se torna ad essere presente il personaggio maschile, la donna domina sulla scena con atteggiamento di sfida e senza alcun pudore.
Dunque circa 600 anni di Giuditte di ogni tipo.
Ma che gusto c’è a continuare ad esplorare un soggetto già ripreso centinaia di volte? È una sfida? È la forma più alta della creatività?
Annamaria Testa, di nuovo, ci dà la risposta:
“In ogni caso l’idea della variazione è potente in sé, si tratti della ricerca di un singolo autore o del misurarsi di molti autori su un medesimo tema, e per questo in qualsiasi serie di variazioni il tutto è maggiore della somma delle parti. Racconta la molteplicità dei possibili. Ci fa capire che c’è sempre qualcos’altro da fare, e un ulteriore spazio di pensiero, appena poco più in là”.
Molto interessante! Grazie.
Grazie
Tra lei e Salomè ce ne sono di teste mozzate nell’arte! Però la Giuditta di Giorgione a me più che delicata sembra leggermente ma sadicamente sorridente, mentre schiaccia con il piedino la testa recisa: un ultimo affronto ad un generale che faceva, d’altra parte, il suo lavoro. 😉
bellissimi i tuopi posto .. complimenti sempre!!!
Buonasera!
È possibile avere le indicazioni (nome autore se esiste, secolo, tecnica e ubicazione) delle immagini medievali di Giuditta?
Grazie e complimenti per il lavoro! Sei una continua fonte di ispirazione!
Grazie per l’apprezzamento Eleonora. Purtroppo ho poco tempo ma il prossimo post riguarderà proprio la ricerca di informazioni sul web a partire da un’immagine… torna a visitarmi 😀
Bello e interessante. Il percorso storico mi ha fatto conoscere diverse rappresentazioni del tema che non avevo mai viste.Grazie
Ottimo come sempre.Per completare aggiungerei una Giuditta di Giovanni Baglione (1608) conservata alla galleria Borghese di Roma e una Giuditta di Domenico Beccafumi.
Domanda:dove è la “carica di erotismo” nel dipinto di Klimt? La Fillade-Giuditta di Caravaggio,
del tutto vestita è 10 volte più sensuale!
Quelle ‘mancanti’ stanno nel secondo link dell’articolo, su Pinterest.
Domanda: dove è la sensualità della Fillade-Giuditta di Caravaggio?
Ho letto con interesse l’articolo trovo Giuditta e Oloferne un soggetto bellissimo,ed è molto bello vedere come i vari artisti l’abbiano rappresentato.Ho avuto il piacere di vedere quelli di Artemisia Gentileschi e me ne ero innamorata.Grazie per aver ampliato i ieri orizzonti.
Grazie a te, Sandra 😀
Ottimo come sempre.Dall’elenco manca l’opera di Giovanni Baglione (1608) conservata alla
Galleria Borghese di Roma
Grazie per l’apprezzamento.
Ad ogni modo mancano anche Tintoretto, il Cavalier d’Arpino, Agostino Carracci e tanti altri.
Ma non è la completezza del percorso il mio obiettivo, quanto la dimostrazione delle modalità di “variazione sul tema” partendo da un unico soggetto iconografico. Tutti i dipinti non trattati sono nel secondo link dell’articolo, raccolti in un’apposita cartella su Pinterest 🙂
Significative le diverse versioni della Giuditta da eroina a donna fatale che hanno segnato le diverse epoche storiche. Impressionante la seconda versione di Artemisia Gentileschi eseguita un anno dopo la violenza carnale subita da Agostino Tassi, l’efferratezza di Giuditta e la partecipazione dell’ancella riescono a superare persino il naturalismo di Caravaggio.
Interessante carrellata, che mi ha incuriosita soprattutto nella prima parte, dato che non conoscevo le raffigurazioni medievali, né quelle di Botticelli. Particolare anche il dettaglio della Sistina, che non avevo mai notato! Grazie!
Grazie a te Cristina! È sempre un onore essere letta con tanta passione 🙂
É di fondamentale importanza capire che il tutto é più della somma delle parti!più entro nel merito delle opere d’arte più la conoscenza mi porta a capire che la realtà è una forma complessa
Bel tema, Emanuela, complimenti per questo excursus certamente non facile.
È simpatico come possano essere tante le variazioni su un tema mitologico attraverso i secoli, rappresentazioni pittoriche di sentimenti umani che sembrano restare uguali ieri come oggi. A volte rifletto come la nostra immaginazione possa non aver confini.
Buon pomeriggio.
Grazie per l’apprezzamento, Gaspare!
illuminante
Cara Emanuela, questo post è un bellissimo percorso tra tema e sue variazioni.
Grazie di cuore, Mimma!
Secondo me le molte variazioni sul tema Giuditta e Oloferne indicano anche la cifra dell’irriducibile diversità tra uomo e donna, spesso in guerra tra loro. C’è un baratro apparentemente incolmabile che li divide, ma la vita, non solo in senso biologico, nasce dal ponte che li unisce: l’amore.
Bravissima. Grazie
Come sempre un articolo molto interessante
Ti ringrazio, Giovanna 🙂
Un soggetto che sarà eterno , bella e interessante la tua carrellata di autori vari.
Grazie mille, Michele!