Alberto Burri e il secondo principio della termodinamica
Questa poi! Che c’entrano i sacchi e i cretti con le leggi della fisica? Probabilmente molto poco, eppure mi è venuta questa strana associazione di idee nel momento in cui ho guardato alle opere di Burri come puri processi naturali della materia.
Ma torniamo un attimo indietro con un breve ripasso di termodinamica (brevissimo, giuro!). In base al secondo principio, il calore non può essere integralmente trasformato in lavoro (ce ne sarà sempre una quota che viene dispersa nell’ambiente) né può passare spontaneamente da un corpo più freddo ad uno più caldo.
Insomma, i processi naturali hanno una direzione ben precisa nella quale il sistema tende a cedere energia (cioè calore) all’ambiente in modo irreversibile per cercare di portarsi ad un grado di ‘disordine‘ maggiore (detto entropia) che corrisponde ad una maggiore stabilità.
Il secondo principio della termodinamica, dunque, ci racconta i meccanismi segreti di ogni trasformazione che avviene nell’universo. Ci racconta dell’energia, quella forza vitale che fa muovere il mondo, della sua conservazione ma anche della sua dissoluzione. Ci racconta del caos da cui tutto è cominciato e verso cui tutto vuole tornare.
Fenomeni, questi, dotati di una potenza metaforica straordinaria. Perché al di là del significato prettamente scientifico dei processi termici, l’idea che la natura vada verso un aumento dell’entropia mi fa immaginare che l’azione umana, inclusa l’arte, in fondo non sia altro che un disperato tentativo di opporsi a questa degradazione della materia dandole una forma riconoscibile, applicando ulteriore lavoro ed energia per arrestarne la dissoluzione definitiva.
Il gesto dell’artista, dunque, inverte il processo naturale di degradazione energetica (azione che in fisica è detta neg-entropia). Diventa un atto creativo, una barriera posta poco prima del disordine infinito.
Esattamente come il lavoro di Alberto Burri. I sacchi, ad esempio; una delle sue serie più celebri che lo consacrò a livello internazionale intorno alla metà degli anni Cinquanta. Non sono altro che tele rosse o nere sulle quali l’artista incolla pezzi di vecchia juta rattoppata. Un materiale poverissimo, logoro (quindi fortemente poetico). Uno scarto che viene salvato dalla distruzione e ricomposto in un paesaggio lugubre.
Negli anni Sessanta arrivano le combustioni (guarda caso la lotta tra materia e calore!). Burri usa il fuoco per bruciare plastiche o legni e tirarne fuori l’aspetto più ‘sofferente’, per coglierne il progressivo disfacimento tranne poi cristallizzarlo in un momento che precede la scomparsa, arrestandone l’entropia.
Quello che ottiene è, dunque, il racconto e la rappresentazione della consunzione della materia, un’allegoria dell’universo, della transitorietà delle cose. Una vanitas informale e astratta, se vogliamo.
Gli anni Settanta sono segnati, invece, dai ‘cretti‘, opere materiche che ricordano l’effetto delle zolle di terra inaridita realizzate con un impasto di vinavil e caolino (la sostanza che sta alla base della porcellana).
La bellezza sta proprio nella geometria casuale della texture che si viene a formare. Anche qui sembra che la materia abbia fatto tutto da sola, sembra che abbia cominciato a fessurarsi, a rompersi in placche, finché la mano dell’artista non ha deciso di interrompere il corso naturale degli eventi con un atto deliberato, un’azione artistica.
I cretti, rigorosamente monocromatici, conservano questo senso del divenire. Sembra che stiano continuando a frammentarsi davanti ai nostri occhi. Sembrano dotati di una vita propria, di un’energia che non si riesce ad imbrigliare e che, di nascosto, continua a corrodere ogni scheggia e ad allargare ogni fessura.
È come se fossero la dimostrazione visiva stavolta del primo principio della termodinamica (quello della conservazione dell’energia) secondo cui “nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma“.
Con la differenza che le trasformazioni operate dalla natura vanno verso il grado più basso delle forme e dell’energia, mentre l’arte tende, in direzione opposta, a salvare la materia attraverso la ricerca di senso.
Le tue riflessioni, i tuoi voli interdisciplinari (solo apparentemente pindarici) hanno il potere di emozionarmi
Cara Giovanna, grazie di cuore!
Interessantissimomo ! Non so perché ma non riesco, nonostante il mirabile lavoro di ricerca, a farmi piacere le opere di Alberto Burri.
La questione è che per l’arte del Novecento occorre cambiare prospettiva: non sono opere che vogliono piacere, per cui non dobbiamo sforzarci di farcele piacere. Anzi, spesso vogliono produrre nell’osservatore un disagio, una riflessione, una contraddizione. Se quello avviene, l’opera funziona!
Munari, Fontana e … pure Recalcati che lo ha descritto in chiave psicologica in un suo libro.
Grazie infinite Emanuela, per queste lezioni d’arte! Sto apprendendo anch’io a 63 anni da te. Il blog l’ho salvato tra i miei preferiti, una perla nascosta che scopri tramite Facebook.
Grazie a te! 😀
Esatto Tiziana. Credo che lo scarso rispetto che molti mostrano verso l’arte contemporanea denoti solo una grandissima ignoranza. Che alcune espressioni artistiche non siano tra le nostre preferite ci sta anche bene, ma lanciare giudizi trancianti su autori ampiamente storicizzati è segno di cialtronaggine.
Emanuela,oggi sei…. scienza e poesia !!!!!! Grazie !!!!
Grazie a te 😉
Los Justos
Un Hombre que cultiva su jardín, como quería Voltaire.
El que agradece que en la tierra haya música.
El que descubre con placer una etimología.
Dos empleados que en un café del Sur juegan un silenzioso ajedrez.
El ceramista que premedita un color y una forma.
El tipógrafo que compone bien esta página, que tal vez no le agrada.
Una mujer y un hombre que leen los tercetos finales de cierto canto.
El que acaricia a un animal dormido.
El quel justifica o quiere justificar un mal que le han hecho.
El que agradece que en la tierra haya Stevenson.
El que prefiere que los otros tengan razón.
Esas personas, que se ignoran, están salvando el mundo.
(“I Giusti.
Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire./ Chi è contento che sulla terra esista la musica./ Chi scopre con piacere una etimologia./ Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi./ Il ceramista che premedita un colore e una forma./ Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace./ Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto./ Chi accarezza un animale addormentato./ Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto./ Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson./ Chi preferisce che abbiano ragione gli altri./ Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.”)
Jorge Luis Borges
Credo che miglior manifesto per questo blog non possa esistere…
Il mio amato Borges! Grazie, grazie, grazie.
El ápice
No te habrá de salvar lo que dejaron
Escrito aquellos que tu miedo implora;
No eres los otros y te ves ahora
Centro del laberinto que tramaron
Tus pasos. No te salva la agonía
De Jesús o de Sócrates ni el fuerte
Siddharta de oro que aceptó la muerte
En un jardín, al declinar el día.
Polvo también es la palabra escrita
Por tu mano o el verbo pronunciado
Por tu boca. No hay lástima en el Hado
Y la noche de Dios es infinita.
Tu materia es el tiempo, el incesante Tiempo.
Eres cada solitario instante.
(L’apice)
(Non ti potrà salvare ciò che scrissero
Coloro che la tua paura implora;
Tu non sei gli altri e ti vedi ora
Centro del labirinto che tramarono
I tuoi passi. Non ti salva l’agonia
Di Gesù o di Socrate né il forte
Aureo Siddharta che accettò la morte
In un giardino, al declinar del giorno.
Polvere è pure la parola scritta
Dalla tua mano o il verbo pronunciato
Dalla tua bocca. Non perdona il Fato
E la notte di Dio è infinita.
Tu sei fatto di tempo, di incessante
Tempo. Sei ogni solitario istante.)
Jorge Luis Borges
Esiste un concetto matematico di Entropia legato all’informazione: “a un aumento di entropia corrisponde una perdita di informazione su un dato sistema, e viceversa”. La parte interessante è questo viceversa. Qualsiasi elencazione, codificazione, riallineamento, reinterpretazione e conservazione di informazioni sono azioni che si muovono contro la freccia termodinamica, quella del Secondo Principio. E’ come cercare di separare i pezzi di due puzzle inavvertitamente mescolati. Oppure catalogare i granelli di sabbia di una clessidra. Il problema è che serve comunque energia e non si sfugge al fatto che complessivamente l’Entropia dell’universo aumenta sempre. Tenere in piedi un blog così articolato è un impegno che causa un notevole dispendio di risorse e fatica, tu confermi vero? Ancora lei, la termodinamica, l’irreversibilità…il fato, il solo a cui perfino gli dei non potevano opporsi.
Pertanto ogni opera d’arte, un blog come Didatticarte, una poesia, un romanzo, una teoria, un pensiero, un commento come questo sono piccole luminosissime bolle effimere a entropia negativa al cui interno un manipolo di eroi si oppone al tempo inesorabile e all’oblio.
Bellissimo! Amo la fisica e questa lettura di Burri è straordinaria.
Direi a corollario che realizzare un blog sull’arte (ne cito uno a caso, Didatticarte) è un nobile ed eroico tentativo di vincere l’invincibile, il Secondo Principio, e di correre più veloci dell’irraggiungibile, l’aumento di Entropia.
E forse anche lasciare qualche commento lo è…
Bella quest’immagine termodinamica del blog (commenti inclusi)! Rallentare l’entropia dei pensieri e delle parole…
Certo, i bit mi sembrano più vicini al dissolvimento rispetto alla materia. Ma almeno viaggiano lontano e connettono persone.
Grazie infinite di per questo e per tutti gli altri post !
è già detto tutto così bene che non posso fare altro che essere ammirata e ispirata.
Con gratitudine
Grazie!!! ❤️
In una rara dichiarazione Burri, disse, citando una frase di Robert Bridge riportata in un libro
scientifico di Dyson Freemann, Da Eros a Gaia, che secondo lui rispecchia con
fedeltà assoluta la sua concezione di pittura: “La nostra stabilità è solo equilibrio e la
nostra sapienza sta nel controllo magistrale dell’imprevisto”.
Egli spiega testualmente: “Questa frase mi colpisce perché è l’essenza del mio modo di fare
pittura. E pur essendo una definizione fatta da uno scienziato per parlare di scienza,
è adattabilissima al mondo della pittura[…]” Complimenti per il post.
Grazie per l’apprezzamento e soprattutto per questa vera perla!
E’ incredibile come riesci a trovare spunti interessanti e significativi per farmi comprendere l’opera di artisti che a un primo sguardo non mi dicevano nulla. Con le tue parole riesci a dare un senso e a valorizzare qualsiasi forma artistica, è pazzesco. Complimenti davvero.
Grazie Daniele! Sono onorata di queste parole!!!
Sono perfettamente d accordo con Daniele! Grazie davvero! Non riuscivo a comprendere cosa volesse dire questo pittore e non mi piaceva ma adesso che capisco lo vedo con altri occhi grazie a te!! Complimenti sei bravissima!!
È una cosa bellissima Rossana! Far conoscere e comprendere l’arte contemporanea è una delle cose a cui tengo di più! 😀
Ricordo che alla prima lezione di storia dell’arte nel liceo classico che frequentai a Padova a fine anni ’70 la nostra nuova insegnante, Lina Ossi, invece di partire dall’arte antica, come ci saremmo aspettati e come il nostro manuale (lo storico Argan) prevedeva, ci presentò invece i sacchi di Burri e i tagli di Fontana, riuscendo perfettamente nel suo intento, che era quello di farci capire che arte e classicità non erano un binomio indissolubile. La lettura di questo bel post mi ha riportato a quel giorno.
Bellissimo post. Spero di consigliarlo un giorno in classe, perché è davvero ben fatto: complimenti.
Grazie mille, Angiolina!
Cito il vecchio tormentone: se non ci fossi ti dovrebbero inventare… 🙂
❤️ 😀
Sembra scritto da un dottore di ricerca in fisica tecnica che fa anche la professoressa di storia dell’arte…
… 😉
[…] salvare la materia attraverso la ricerca di senso.
L’arte e il suo potere “salvifico”.
Grazie per avermelo ricordato in un modo così alto.
Rita
😀