Vi racconto il Tempio della Concordia
“Eccolo il tempio miracoloso, detto della Concordia, quasi ancora intatto con tutte le sue colonne, i suoi frontoni, le sue scalinate, solenne, pieno di grazia e di forza e di bellezza, nella sua magnifica ossatura e nel suo stile dorico…”
Così lo scrittore Giuseppe Longo descrive il tempio greco più famoso della Sicilia.
Che sia un miracolo è fuori da ogni dubbio! Ha resistito per oltre 2400 anni ad ogni cambiamento. Ha visto passare davanti alle sue pietre Romani, Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi. Ha sentito le bombe degli alleati cadere poco distante, ad Agrigento, nel luglio del ’43.
Eppure sta ancora là, immobile, a godersi il panorama e lasciarsi fotografare come un’attrice in passerella…
Certo, non era così ai tempi della Magna Grecia. Quella tinta dorata della pietra, un calcare conchiglifero che si integra armoniosamente col paesaggio, è lontanissima dalla sua immagine originale. Si stenta a crederci, lo so, ma il tempio della Concordia era dipinto con intonaco bianco candido ad eccezione del fregio e del timpano, colorati di rosso e blu!
L’ipotesi cromatica fatta dagli esperti e stampata sulle impalcature dell’ultimo restauro è davvero sconvolgente! È un pop-art ante litteram! Warhol non avrebbe saputo fare di meglio… Ma non è una prerogativa solo del tempio della Concordia. Tutti i templi greci erano così. Pure il coevo Partenone.
Come il grande tempio ateniese, anche quello della Concordia sorse come dimostrazione di potenza, piuttosto che espressione di religiosità. Gli abitanti dell’antica Akràgas, oggi Agrigento, edificarono, infatti, ben 10 templi nel corso del V secolo a.C. in un’accanita sfida all’ultimo capitello contro Siracusa.
Il tempio della Concordia, in particolare, fu innalzato nel 430 a.C. ed è un esempio di dorico maturo. Non si sa a quale divinità fosse dedicato. Il nome Concordia con cui è universalmente conosciuto è, in realtà, frutto di un’interpretazione fantasiosa dello storico del XVI secolo Tommaso Fazello che trovò presso l’edificio un’iscrizione latina con questa parola.
Il tempio è del tipo perìptero esàstilo, cioè con un giro di colonne attorno alla cella e sei colonne in facciata. Le colonne sui lati lunghi (come vuole la regola classica del doppio + 1 rispetto al fronte) sono 13.
Il naos è un’unica stanza vuota, preceduta da due scale a chiocciola che portano al sottotetto. Le colonne non sono né troppo massicce, né troppo slanciate: hanno le proporzioni giuste per dare al tempio un senso di solidità e perfezione eterna.
Una perfezione che sta soprattutto nei dettagli. Qui, ad esempio c’è una soluzione molto raffinata del famoso conflitto angolare, un problema di allineamento tra triglifi e colonne che faceva diventare matti gli architetti greci.
Nel fregio dorico, infatti, un triglifo ogni due è in asse con la colonna sottostante ma, arrivati all’angolo del tempio, dovendo l’ultimo triglifo coincidere con la fine della trabeazione, si viene a formare una metopa più larga delle altre. Una cosa assolutamente inaccettabile in una struttura logica e rigorosa come un tempio greco!
La soluzione adottata in questo caso è una via di mezzo tra la quarta e la quinta (che è quella del Partenone) dell’elenco che segue. Gli ultimi due interassi tra le colonne sono stati contratti, ma sono state anche allargate leggermente metope e triglifi per riuscire a centrare con precisione gli elementi.
Ma non è questa perfezione ciò che ha salvato il tempio dall’abbandono e dalla distruzione. La sua fortuna è stata la trasformazione in chiesa cristiana dedicata ai Santi Pietro e Paolo nel 597 d.C. Grazie a questo cambio d’uso il tempio è stato sottratto al destino di cava di materiale da costruzione, com’era solito per gli edifici pagani dal Medioevo in poi.
Naturalmente ci sono state delle alterazioni anche pesanti. Nella conversione in chiesa il tempio fu orientato in senso opposto (le chiese hanno la facciata ad ovest, invece che ad est come i templi) per cui fu abbattuta la parete dell’opistòdomo, sul fondo della cella, per creare la navata centrale. Gli spazi tra le colonne furono chiusi con un muro mentre nelle pareti del naos furono aperti sei archi per lato (ancora oggi visibili).
Solo nel 1748 il tempio torna alle sue forme antiche, con la riapertura del colonnato, e smette di essere utilizzato per il culto.
È un periodo in cui in tutta Europa si comincia a riscoprire l’arte greca e si diffonde la moda del Grand Tour, un viaggio tra le bellezze italiane. Il tempio della Concordia, naturalmente, era una tappa obbligatoria. Da questo momento l’immagine del tempio è nelle mani di pittori e incisori provenienti da tutt’Europa.
Qualcuno ne fa una rappresentazione oggettiva…
… altri cercano di ricreare atmosfere pastorali.
Nel 1759 il tempio è visitato dal mitico Winkelmann, il teorico del Neoclassicismo, che lo ha descritto con un paziente lavoro di osservazione e un confronto puntuale con le regole dettate da Vitruvio.
Meno di trent’anni dopo, il 25 aprile 1787, Goethe è a Girgenti e del tempio della Concordia scrive “…ha resistito ai secoli; la sua linea snella lo approssima al nostro concetto del bello e del gradevole, e a paragone dei templi di Paestum lo si direbbe la figura di un dio di fronte all’apparizione di un gigante”.
L’emozione di Goethe è palpabile: aveva di fronte uno degli unici tre templi rimasti in piedi in tutto il mondo greco (assieme al Theseion di Atene e al tempio di Poseidone di Paestum). Altri templi apparentemente integri, come il tempio E di Selinunte, sono stati in realtà rimontati con le loro stesse pietre (un’operazione chiamata anastilosi).
Nell’Ottocento le vedute del tempio si fanno più pittoresche…
Leo von Klenze, famoso architetto tedesco neoclassicista, dipinse il tempio, l’ultimo esempio di dorico in tutta la Magna Grecia, in un’atmosfera orientaleggiante, con il centro abitato che fa il suo debutto nel paesaggio.
Non immaginava, il buon Leo, che la città avrebbe presto fagocitato tutta la collina di fronte regalando ai visitatori un orribile panorama e arrivando a minacciare con decine di costruzioni abusive la stessa area sacra!
Meglio guardarlo al contrario, da nord, stagliarsi col suo costone roccioso sul mare siciliano…
… o dal basso, tra gli alberi e il cielo.
Intanto, con l’avanzare del XIX secolo, l’immagine del tempio passa dall’olio su tela alla fotografia.
Alcuni scatti documentano momenti davvero storici, come quello con Luigi Pirandello o quello con il tempio circondato dai sacchi di sabbia per proteggerlo dai bombardamenti.
È molto più recente l’ultimo episodio epocale per il tempio della Concordia: l’incontro con la scultura di Igor Mitoraj nel 2011. La mostra, che ha visto 17 delle sue sculture a confronto con i templi greci, è stata vissuta dall’artista come un ritorno a casa, la rivelazione che tutti noi da quelle pietre discendiamo. Come arte, come cultura ma soprattutto come civiltà.
Dal 1997 il tempio della Concordia con tutta la Valle dei templi di Agrigento, è stato dichiarato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.
Un titolo meritato ma carico di responsabilità. Significa che rappresenta un pezzo del nostro passato talmente importante che deve essere assolutamente tutelato e consegnato alle future generazioni. Significa che non appartiene agli Agrigentini, o ai Siciliani o agli Italiani, ma all’umanità tutta.
Significa che la sua matematica bellezza deve insegnarci ancora tanto ed indicarci la strada.
Mi hai salvato, in classe non avevo preso appunti ma per fortuna ho trovato questo articolo
Ah ah ah… la prossima volta però prendili! Non è detto che qui trovi tutto 😉
Articolo molto interessante. Ho scritto qualche brevissimo accenno a questo tempio sul mio blog ed ho messo un link a questo articolo per gli approfondimenti. Grazie!
Grazie a te, Daniela.
Bellissimo articolo corredato da bellissime fotografie o dipinti, scritto in modo chiaro e comprensibile anche da chi, come me, non ha fatto studi classici. Complimenti e grazie! Sono contenta di aver trovato il tempo di leggerlo in un periodo in cui sono oberata di impegni e di tentativi per trovare soluzioni a situazioni che mi tengono in grande ansia….non per me che sono molto anziana, ma per i miei e figli e 2 nipoti. (Un imprevisto, istruttivo e gradevole intervallo che è anche “igiene mentale”)
Sono contenta Marilisa.
Complimenti è un piacere leggere gli argomenti da lei esposti! Grazie mille!
Grazie 🙂
Molto interessante, concreto, denso di informazioni utili e ben scritto.
Grazie, complimenti
Grazie!
Molto interessante…
Questo sitO è molto valido da una parte dall’ altra è molto incompleto
Infatti non è un’enciclopedia, ma un blog dove scrivo quello che mi va 😉
In questo video del 1910 (in particolare dal minuto 4:00) si notano ancora visibili persistenze dell’intonaco bianco oggi in gran parte svanite:
https://vimeo.com/85354300
Magnifico, complimenti!
Grazie mille, Gabriella.
Grazie, una lettura davvero piacevole.
🙂
Brava. Bell articolo
Straordinario! Complimenti
Fantastico, complimenti!!
😀
Salve! Sono un insegnante di disegno e storia dell’arte presso un istituto professionale di Voghera, seguo assiduament le sue meravigliose lezioni e la ringrazio profondamente perché mi donano un emozione stupenda, soprattutto quando affronta tematiche sull’arte siciliana .
Grazie per l’apprezzamento!
Bellissimo! Puntuale, completo e di piacevole lettura. Se posso permettermi, suggerirei di sostituire la foto con i palazzi a ridosso (palesemente forzata) con una che rispetti meglio le proporzioni. L’abitato non è (e non è mai stato) così incombente. Comunque grazie e complimenti
Grazie per l’apprezzamento. Conosco bene Agrigento, sì i palazzi non sono a ridosso dei templi ma la foto non è stata ritoccata: è fatta evidentemente con un teleobiettivo dall’altura dal lato opposto all’area templare. Ho sempre percepito con orrore il contrasto con quel centro abitato del tutto fuori scala e ho cercato apposta una foto del genere 🙂
Un avvincente articolo: come sempre bravissima.
Grazie da un’insegnante agrigentina di Arte e Immagine.
Grazie Susy!
piacevolissimo !
Evviva!
Grazie!