Quando la foto sceglie il dettaglio
Fotografare è soprattutto fare una selezione. È l’atto deliberato di raggruppare dentro un rettangolo solo una porzione di mondo. Ma significativa. Capace di raccontare quello che c’è attorno e non vediamo, quello che c’è stato prima e persino ciò che potrebbe esserci dopo.
La selezione può arrivare all’individuazione estrema di un solo dettaglio. Un particolare che, come un frattale, contiene e riflette tutto il resto.
Sono scelte difficili; ci vuole poco a cadere nel banale o nell’insignificante. E forse proprio per questo è un genere che mi piace particolarmente. Perché per decidere di lasciare fuori tutto, tranne un solo elemento, ci vogliono coraggio e talento.
Ma cosa ci deve essere perché un dettaglio funzioni?
Principalmente deve evocare altro. E quindi deve avere una forma riconoscibile, si deve capire a cosa appartiene per poter immaginare tutto il resto. Un po’ come le forme stilizzate: non si può andare oltre una certa sottrazione di segni.
Quindi il dettaglio non è una macrofotografia: quella serve a mostrare nitidamente qualcosa che è piccolo ma completo. Un insetto, un fiore, ad esempio.
Il dettaglio, invece, è una parte del tutto. Che consente di immaginarlo.
Un dettaglio deve funzionare bene dal punto di vista compositivo: linee e forme devono essere “forti” per poter fare a meno della profondità spaziale, che in genere non si può mostrare.
Spesso il dettaglio punta sulle mani, sui loro gesti. D’altra parte sappiamo bene quanto le mani riescano a parlare… Sono un soggetto praticamente inesauribile.
Non ci serve il volto o l’ambiente per immaginare dietro un paio di mani una persona concentrata o sbarazzina, annoiata o trepidante.
Qualsiasi gesto concentra su di sé storie e sentimenti.
Vivian Maier, la tata-fotografa americana, ha raccontato un’intera città attraverso le mani dei suoi abitanti…
Alfred Stieglitz, invece, ha raccontato un’artista attraverso il dettaglio delle mani.
Sono quelle di Georgia O’Keeffe; espressive come sculture. E siamo nel 1919…
E poi ci sono i piedi. Anzi le scarpe. Quelle col tacco alto.
Un immaginario infinito che si scatena alla vista di una caviglia che si fonde con un tacco a spillo.
Meno d’effetto le scarpe basse o i piedi scalzi (questione di gusti), ma forse più naturali come dettaglio.
La geometria delle gambe è un altro di quei dettagli difficili. Ma con o senza piedi possono rivelarsi delle magnifiche composizioni. Alcuni, come Eward Weston, hanno studiato a lungo questo particolare.
Il dettaglio di un corpo umano è sempre sorprendente, perché a volte somiglia ad un paesaggio. Un vero maestro del genere è Bill Brandt, autore di scatti tanto semplici quanto raffinati.
Davanti al suo obiettivo il corpo svela una morfologia di valli e colline che funziona come una scena naturale. Oppure si trasforma in cumuli di sassi levigati o in canyon disegnati dall’acqua e dal vento.
Naturalmente il dettaglio del corpo è stato affrontato anche da altri autori (anche molto prima di Brandt). Con esiti altrettanto notevoli.
Dal paesaggio umano a quello urbano il passo è breve. Ma questo, spesso, è troppo pieno e complesso per risultare leggibile nel suo insieme. Allora il fotografo ci accompagna ad osservarne i dettagli e scoprirne una chiarezza nascosta.
La foto di dettaglio contiene, tra l’altro, altri temi: la texture, l’ombra, il riflesso, la geometria del bianco e nero… ma di questi aspetti ho già parlato.
Quello che ha di specifico è l’estrema riduzione del campo visivo, mantenendo un’ampiezza quanto meno concettuale: se non ti faccio vedere tutto il resto, te lo faccio immaginare.
È una sfida che ho provato anch’io tante volte ad affrontare. Con risultati modesti, ma d’altra parte a guardare si impara guardando…
Potrebbe essere un ottimo laboratorio per gli studenti, perché richiede un’attenzione per il particolare che spesso non esercitiamo. Occorre concentrazione, che è l’opposto della superficialità. È un allenamento utile anche nello studio e nella vita.
Scovare il dettaglio è una caccia al tesoro.
D’altra parte “Dio è nei dettagli”, come diceva Mies van der Rohe. Lui parlava di quelli di un buon progetto di architettura, ma ogni porzione di realtà ha il suo dettaglio ricco di significati. E scoprirlo è una forma d’arte.
Stupendo 🙂
Tante volte ho scattato fotografie, seguendo l’istinto, l’immaginazione e la mia sensibilità.
Ma leggendoVi in questi articoli, mi paragono ad un autista senza patente, che si muove in auto, senza conoscere concretamente le regole del codice della strada.
Già esserne consapevole per me è un vanto, ora mi metterò all’opera per studiare meglio, grazie a Voi
Ottimo, Roberto. Sono qui per questo 🙂
Questo processo compositivo dei fotografi ha influenzato molto anche i pittori, con i miei allievi abbiamo lavorato ultimamente sulle mani che lavorano, anche in questo caso il particolare delle mani serviva a raccontare il mestiere in questione.
Tema affascinante e difficilissimo!
Non trovo riferimenti al minimalismo come genere fotografico, malgrado si incontrino alcune “citazioni” di quel genere (Fontana, ed anche alcune Sue): c’è un motivo o sono io che sbaglio a riferirmi a quel genere?
Grazie.
È perché la fotografia di dettaglio non è necessariamente minimalista. Così come quella minimalista non è necessariamente di dettaglio. Sono due generi che si sovrappongono solo in alcuni casi.
Articolo bellissimo, un vero banchetto per gli occhi, di nuovo complimenti!
luca
ps. sui particolari del corpo femminile, vorrei citare l’indimenticabile “Forma di donna” di Carla Cerati.
Doppiamente grazie, per l’approvazione e per il prezioso contributo 😀
A corollario: le tue sono molto belle (e per niente modeste).
I pattern, la geometria ricorrente, un frattale “fluido”, la luce … niente male davvero Emanuela.
🙂
Ad ogni post apri la visione di nuovi orizzonti: Grazie!
Evviva!
banalmente grazie.
Grazie a te, Davide.
Brava come sempre.
Molta sensibilità nel mare magnum da cui hai dovuto attingere…
🙂
Molto bello e molto ben realizzato.
Come al solito…
Complimenti
Ti ringrazio 🙂
Interessantissimo !
Grazie mille, Marino!
Con le nuove tecnologie tutti possono scattare fotografie ogni giorno…..ma realizzare capolavori solo pochi ci riescono. Leggendo questo articolo mi hai riportato per un attimo indietro in un’aula dell’Università a seguire il corso di Storia e tecnica della fotografia ( Italo Zannier)…. grazie Emanuela articolo bellissimo da tenere presente per la didattica…..buon inizio di nuovo anno scolastico.
Luisa
Grazie per l’apprezzamento Luisa.
Credo che proprio la facilità e il costo nullo dello scatto digitale rendano impellente l’alfabetizzazione visiva. Proverò anch’io a lavorarci in classe.
Buon anno 😀